RUBRICA A CURA DI ENRICO LUCERI

Il destino letterario di uno scrittore di gialli e del suo personaggio si compiono nello stesso giorno, per essere precisi una sera dell’Epifania, umida e nebbiosa come può essere solo nell’inverno milanese.
Era qualche tempo che Renato Olivieri, apprezzato giornalista e già direttore di periodici a grande diffusione, girava con un foglietto in tasca. Aveva scarabocchiato una frase: “In effetti c’era qualcosa di strano nella morte della signora Kodra”. La sera del 6 gennaio 1976 Olivieri sedette davanti alla macchina da scrivere e compilò il certificato di nascita di colui che sarebbe diventato uno dei personaggi più popolari della narrativa italiana di genere: Giulio Ambrosio, all’esordio vice-commissario e in seguito promosso dirigente della Squadra Mobile milanese.
Quando Ambrosio comincia indagare è sulla soglia della cinquantina, e non è felice, anzi ha una latente tendenza a una comprensibilissima malinconia che potrebbe addirittura divenire una subdola depressione. Confinato a occuparsi di borseggi e rinnovi di passaporti nella questura centrale, lo attende alla sera un monolocale in via Solferino, trendy finché si vuole ma desolatamente vuoto. Francesca, la moglie, lo ha lasciato da anni e si è trasferita a Roma, dove ha un nuovo compagno, un musicista dell’Accademia di Santa Cecilia. Questo dettaglio spiega forse lo scarso interesse di Ambrosio per la musica (mentre al contrario è un raffinato intenditore di arti figurative, soprattutto contemporanee, e di letteratura) e la sua malcelata diffidenza per le ambigue atmosfere della capitale, in confronto alle familiari brume milanesi.
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