(a tavola con Franco Bordelli e Marco Vichi)
Articolo di Giusy Giulianini
Tutto concorre a umanizzare un personaggio letterario: i suoi pensieri, le aspirazioni, le piccole manie, i gesti, ma anche il luogo in cui vive, la musica che ascolta, le letture abituali e, perché no, le sue preferenze in fatto di cibo e di vino. Ad affermarlo però non sono io, bensì Marco Vichi in risposta a chi gli chiede come sia riuscito a fare del suo protagonista, il commissario Franco Bordelli, un uomo vero. Di carne, ossa e sangue.

Apparso per la prima volta nel 2002 in un libro che nel titolo porta il suo nome (Il commissario Bordelli, Guanda, 2002), il poliziotto di Vichi è stato finora protagonista di dieci romanzi e due racconti (Fig.1 – Le storie del commissario), pubblicati da Guanda e ora riproposti da TEA.
In tutti, sullo sfondo di una Firenze dall’autore realisticamente ritratta tra il finire degli anni Cinquanta e il 1970, Franco Bordelli domina la scena con la sua dolente umanità di cinquantenne, ex combattente del battaglione San Marco della Marina Militare ed ex partigiano. Un passato ingombrante e doloroso, costellato dalle troppe ferite che la guerra gli ha causato perché «il passato è sempre in movimento, non è una lapide dove hai scolpito frasi incancellabili».
È ancora celibe, Bordelli, con molti fallimenti sentimentali alle spalle, eppure sovente indugia nell’abitudine di fantasticare su giovani e bellissime donne che incrocia per strada, condannato forse a non trovare quella giusta. O forse sì, come sembra negli ultimi romanzi, dopo l’incontro con Eleonora, la «bella e giovane Eleonora che non riesce a dimenticare».
Una vita disordinata, la sua, tutta sacrificata a un lavoro che non concede tregua, improntata a un senso di giustizia che gli impone di raddrizzare le tante ingiustizie che accompagnano la nascita della nuova Italia, quella del boom economico che però lascia indietro chi non riesce a cavalcare l’onda del successo.
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