Rubrica “Palato da detective”, n° 16 – IL COMMISSARIO CHE AMA MANGIARE MA NON SA CUCINARE

(a tavola con Franco Bordelli e Marco Vichi)

Articolo di Giusy Giulianini

Tutto concorre a umanizzare un personaggio letterario: i suoi pensieri, le aspirazioni, le piccole manie, i gesti, ma anche il luogo in cui vive, la musica che ascolta, le letture abituali e, perché no, le sue preferenze in fatto di cibo e di vino. Ad affermarlo però non sono io, bensì Marco Vichi in risposta a chi gli chiede come sia riuscito a fare del suo protagonista, il commissario Franco Bordelli, un uomo vero. Di carne, ossa e sangue.

(Fig.1 – Le storie del commissario)

Apparso per la prima volta nel 2002 in un libro che nel titolo porta il suo nome (Il commissario Bordelli, Guanda, 2002), il poliziotto di Vichi è stato finora protagonista di dieci romanzi e due racconti (Fig.1 – Le storie del commissario), pubblicati da Guanda e ora riproposti da TEA.

In tutti, sullo sfondo di una Firenze dall’autore realisticamente ritratta tra il finire degli anni Cinquanta e il 1970, Franco Bordelli domina la scena con la sua dolente umanità di cinquantenne, ex combattente del battaglione San Marco della Marina Militare ed ex partigiano. Un passato ingombrante e doloroso, costellato dalle troppe ferite che la guerra gli ha causato perché «il passato è sempre in movimento, non è una lapide dove hai scolpito frasi incancellabili».

È ancora celibe, Bordelli, con molti fallimenti sentimentali alle spalle, eppure sovente indugia nell’abitudine di fantasticare su giovani e bellissime donne che incrocia per strada, condannato forse a non trovare quella giusta. O forse sì, come sembra negli ultimi romanzi, dopo l’incontro con Eleonora, la «bella e giovane Eleonora che non riesce a dimenticare».

 Una vita disordinata, la sua, tutta sacrificata a un lavoro che non concede tregua, improntata a un senso di giustizia che gli impone di raddrizzare le tante ingiustizie che accompagnano la nascita della nuova Italia, quella del boom economico che però lascia indietro chi non riesce a cavalcare l’onda del successo.

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PALATO DA DETECTIVESAPORI&DELITTI – Spaghetti all’Assassina di Gabriella Genisi

a cura di Paola Varalli.

È noto: parecchi tra gli investigatori letterari sono degli inguaribili epicurei.
Vien da pensare che sublimino con la buona tavola quel loro starsene in mezzo a crimini, furti e delinquenza in genere. E forse è proprio così. Prendiamo ad esempio Pepe Carvalho di Montalban, precursore in tema di giallo e cucina! O gli arancini che la “cammarera Adelina” frigge per Montalbano, o ancora Nero Wolfe, chef così raffinato da competere con il suo cuoco in una gara di ricette all’ultima forchetta. E che dire della moglie del commissario Kostas Charìtos, creato dalla penna di Petros Markaris? I Gemistà della signora Adriana pare siano un’apoteosi! Per non parlare di Izzo e della golosa cucina marsigliese che Honorine propina al suo poliziotto Fabio Montale, con somma soddisfazione di quest’ultimo.
Insomma la lista è lunga, ne ho citati solo alcuni. Vedremo di darle, ad ogni uscita, un’occhiata insieme.

La terza “puntata” di questa rubrica letterar-culinaria oggi si fa un viaggetto nella bella Puglia e precisamente a Bari, la città di Lolita Lobosco, vice questore di polizia uscita dalla geniale penna di Gabriella Genisi e assurta agli onori della fiction tv con protagonista la brava e bella Luisa Ranieri. Sappiamo che in Puglia si mangia parecchio bene, e non parlo solo delle note e rinomate “orecchiette con cime di rapa” . La cucina regionale vanta piatti di tutto rispetto, ad esempio, tra i dolci ricordo gli spettacolari pasticcini di mandorle che gustai a Locorotondo, o ancora la carne cucinata direttamente dai macellai con il forno: gnumareddi, e poi i lampascioni… ma non divaghiamo e torniamo alla nostra procace vice questore o vice questora come si dice al giorno d’oggi.
Nel romanzo “Spaghetti all’Assassina”, uscito nel 2015 per Sonzogno, Lolita si deve occupare di un intricato caso che vede il rinomato chef Colino Stramaglia ucciso nel suo ristorante, e poi tutta una pletora di personaggi: cuochi, spogliarelliste e camerieri torvi che ruotano attorno alla città vecchia. E gli Spaghetti all’Assassina? Quelli sono uno dei piatti più famosi di Bari, ma attenzione! Occorre rigorosamente munirsi della famosa padella di ferro, che a Barivecchia, pare, si trovi solo da Traversa. Ma cosa hanno a che fare con il delitto? Per scoprirlo vi tocca leggere questo bel giallo di Gabriella Genisi. Ma torniamo a noi e alle delizie per il palato.
In fondo al libro l’autrice inserisce diverse ricette per cucinare gli “Spaghetti all’assassina”, inclusa quella personale di Lolita. Io qui di seguito vi trascrivo, riassumendola un poco, la ricetta ufficiale gentilmente concessa dall’Accademia dell’Assassina barese e dal suo presidente Massimo Dell’Erba, ricetta che la Genisi cita per prima.

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Rubrica “Palato da detective”, n° 14 – L’ELEGIA BRETONE DEL COMMISSARIO DUPIN (e del suo autore, Jean-Luc Bannalec)

Articolo di Giusy Giulianini

Jean-Luc Bannalec, autore dei gialli con protagonista il commissario Georges Dupin, si chiama in realtà Jörg Bong

Fig.1 German crime novelist Jorg Bong, aka Jean-Luc Bannalec poses in Douarnenez, western France on April, 4 2018. – A passionnate of crime fictions, Jean-Luc Bannalec writes investigations led by his character Georges Dupin, a breton police chief, of which he sold millions of copies. (Photo by Damien MEYER / AFP) (Photo by DAMIEN MEYER/AFP via Getty Images)

(Fig.1 –L’autore) ed è un tedesco di Bonn. Là, fino al 2019, è stato direttore editoriale di Fischer Verlag, per poi dedicarsi esclusivamente alla scrittura crime con lo pseudonimo di Jean-Luc Bannalec. Un tipico cognome bretone, quello che ha scelto, perché di quel lembo di Francia si è irrimediabilmente innamorato, tanto da acquistare una casa, beato lui, nell’incantevole Concarneau. Ed è proprio lì che Bong – rapito da panorami mozzafiato, antiche leggende e prelibatezze varie – ha concepito e ambientato i dieci romanzi del suo commissario Dupin che, tradotti in quattordici lingue, hanno riscosso un successo strepitoso, tanto da essere trasposti anche in film per la televisione. Interpretati dall’attore svizzero naturalizzato tedesco Pasquale Aleardi, alcuni episodi sono stati trasmessi anche in Italia, su Rai Due, a partire dal 2017.

Tutt’altro che difficile comprendere la scelta di Bong, visto che la Bretagna, una incantevole lingua di terra protesa verso la Manica e l’Oceano Atlantico, ha molte frecce al suo arco, tra una costa (Armor, o “terra del mare”) più dinamica ed edonista e un entroterra (Argoat, o “terra delle foreste”) più segreto e riflessivo, dove ancora si respirano le tradizioni celtiche. Non per nulla i Romani chiamavano la Bretagna Finis Terrae, perché lì quel territorio aspro finiva e diventava un mare aggressivo, una sorta di capolinea del mondo conosciuto, permeato di mistero.

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Palato da detective n°13 – SAPORI&DELITTI. Le coq au vin della signora Maigret.

a cura di Paola Varalli

È noto: parecchi tra gli investigatori letterari sono degli inguaribili epicurei.
Vien da pensare che sublimino con la buona tavola quel loro starsene in mezzo a crimini, furti e delinquenza in genere. E forse è proprio così. Prendiamo ad esempio Pepe Carvalho di Montalban, precursore in tema di giallo e cucina! O gli arancini che la “cammarera Adelina” frigge per Montalbano, o ancora Nero Wolfe, chef così raffinato da competere con il suo cuoco in una gara di ricette all’ultima forchetta. E che dire della moglie del commissario Kostas Charìtos, creato dalla penna di Petros Markaris? I Gemistà della signora Adriana pare siano un’apoteosi! Per non parlare di Izzo e della golosa cucina marsigliese che Honorine propina al suo poliziotto Fabio Montale, con somma soddisfazione di quest’ultimo.
Insomma la lista è lunga, ne ho citati solo alcuni. Vedremo di darle, ad ogni uscita, un’occhiata insieme.
Partiamo per questa avventura tra “sapori e delitti” (più sapori che delitti) con un maestro indiscusso del giallo psicologico: George Simenon e il suo Maigret. Non è un uomo d’azione il nostro commissario, preferisce la speculazione e la buona tavola.  Quante volte durante gli interrogatori il garzone della Brasserie Dauphine fa la spola al Quai des Orfèvres per consegnare birre e panini? Sappiamo però che il buon commissario si concede pasti frugali di malavoglia e poi gli tocca buttar giù Calvados per digerire: per forza, la signora Maigret, Alsaziana d’origine e cuoca sopraffina, lo ha abituato troppo bene. Immaginiamolo mentre rientra a casa in Boulevard Richard-Lenoir e viene investito da un aroma di Coq au vin già sulle scale…

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Rubrica “Palato da detective”, n° 12

Articolo di Giusy Giulianini

MARTIN WALKER E IL COMMISSARIO GOURMET

In Périgord tra delitti e ricette

Martin Walker, scrittore, storico e giornalista politico, era alla Casa Bianca per intervistare il presidente Clinton quando ricevette da sua moglie una telefonata entusiasta. Gli annunciava di aver trovato la casa dei loro sogni, in Périgord, quella pittoresca regione del sud-ovest francese che gli stessi cugini d’Oltralpe indicano come la più intatta del loro territorio nazionale. I coniugi Walker, durante una vacanza, si erano a tal punto innamorati di quel lembo di terra di panorami mozzafiato, genti cortesi e cucina rinomata, da voler trascorrere là più tempo possibile.  Foreste, montagne, morbide colline, vigneti, pascoli, fiumi dal corso sinuoso, architetture suggestive, facevano di quella douce France un luogo perfetto per  ritornarvi sempre più spesso.

Fig.1 – I mondi di Martin Walker

Oggi lo scozzese Martin Walker, dopo essere stato corrispondente estero di The Guardian in USA, URSS, Europa, divide equamente il suo tempo tra Washington D.C. e il Périgord, alternando la sua professione di giornalista politico a quella di narratore delle inchieste del commissario Bruno Courrèges (Fig.1 – I mondi di Martin Walker). “Ero molto attratto dalla dolcezza della vita e dall’ottimo cibo”, racconta infatti Walker “ e mi sono detto che dovevo scrivere di quel piccolo angolo di paradiso”.

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Rubrica “Palato da detective”, n° 11 – LA CUOCA-INVESTIGATRICE E IL GOTICO PADANO

Articolo di Giusy Giulianini

LA CUOCA-INVESTIGATRICE E IL GOTICO PADANO

Giuseppe Pederiali e la sua Matilde Messi: ricette, leggende e delitti

 

Nella tradizione contadina di molte regioni italiane il termine “fola” indicava un racconto fantastico che, nelle lunghe serate invernali, gli anziani narravano ai bambini seduti in cerchio accanto al focolare, l’unico luogo in cui il calore della fiamma riusciva a vincere gli spifferi dei gelidi casolari. Erano racconti popolati di streghe e animali fantastici, nei quali miti e leggende si fondevano con le ballate popolari che i cantastorie portavano di paese in paese, spesso colorati di elementi orrorifici, allo scopo di incutere ai più piccoli un educativo terrore che li mettesse in guardia contro ogni sorta di pericoli.

Fig.1.La serie de l’Osteria della fola

Anche la nostra Bassa emiliana, quel lembo di Pianura Padana steso lungo il corso del Po, è ricca di fole, bagaglio culturale cui molti scrittori e qualche regista hanno attinto con mano generosa. Basti pensare a Pupi Avati, maestro del gotico padano, per sua stessa ammissione fortemente suggestionato dai racconti paurosi della nonna, mai dimenticati e anzi tradotti nel suo cinema più apprezzato, da La casa dalle finestre che ridono (1976) a Il Signor Diavolo (2019), a dimostrazione del fatto che la campagna più profonda custodisce una dimensione magica e lugubre al tempo stesso e che “nella cultura contadina il diverso, il deforme vengono associati al demonio”, come afferma appunto uno dei personaggi del suo più recente lungometraggio.

E di quel gotico padano anche Giuseppe Pederiali, il versatile scrittore finalese scomparso nel 2013, mostra di aver assorbito tutti gli umori, soprattutto nella raccolta di sei racconti de L’Osteria della fola (Garzanti, 2003) e nel romanzo postumo La setta dei golosi (Garzanti, 2016), che in quell’osteria ha il suo epicentro narrativo

(Fig.1 – La serie dell’Osteria della fola). Negli uni e nell’altro la Bassa tra le province di Modena, Reggio, Bologna e Ferrara si svela contrada lunatica e terragna che ben si addice a una stirpe di uomini che sa «tenere i piedi bene dentro la propria terra e la testa tra le nuvole, magari fino a sfiorare la luna». Uomini, donne e animali, bizzarri tutti, grotteschi e carnali, irriverenti e teneri, nostalgici e perfidi, danno voce a un coro inusuale ma veritiero, fantastico eppure riconoscibilissimo. E godibile, a ogni pagina di Pederiali che ne è appassionato cantore.

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Rubrica “Palato da detective” #10 : PEPE CARVALHO, MAI INDAGARE A STOMACO VUOTO

di Enrico Luceri

 

Retrat de Montalbán

Creato dalla fantasia dello scrittore di Barcellona Manuel Vázquez Montalbán, il detective privato Pepe Carvalho è il protagonista di una delle saghe letterarie più longeve, amate e rimpiante dai lettori. Rimpiante perché il connubio, diciamo meglio la simbiosi, fra autore e personaggio è stata interrotta solo dalla scomparsa prematura di Montalbán. Un’affezione così diffusa non può essere spiegata solo con la bellezza delle messe in scena dello scrittore catalano, ma affonda le sue radici nella profonda umanità di Carvalho, che a modo suo riassume in sé molte contraddizioni della Spagna durante il lungo regime di Francisco Franco, nella transizione alla democrazia e negli anni del suo consolidamento.

Di origine galiziana, figlio di un combattente dell’esercito repubblicano, e di conseguenza incarcerato dopo la guerra civile, Pepe diventa in gioventù un autorevole esponente dell’opposizione clandestina alla dittatura, finendo a sua volta in prigione. In seguito, si trasferisce in America dove diventa addirittura agente della CIA. Ritorna in patria nei primi anni ’70, dotato di credenziali sufficienti per ottenere la licenza di detective privato.

 

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Rubrica “Palato da detective”, n°9 – DA CHEF S’INDAGA MEGLIO. Al ristorante o in agenzia investigativa?

Articolo di Giusy Giulianini

 

Alzi la mano chi ha il coraggio di negare che gli chef, stellati o meno, telegenici in varia misura, amichevoli o marziali, sono i nuovi divi dei nostri giorni. Dalle loro ipertecnologiche cucine, dagli schermi televisivi o dalle pagine patinate dei rotocalchi dispensano ai comuni mortali imperativi categorici su qualità, quantità e preparazione del nostro cibo quotidiano. La loro parola è legge e noi, in riverente branco, corriamo a farci rapinare nei loro sacri templi.

Fioriscono sempre nuove filosofie nutritive, che si affiancano ai precetti alimentari di molte religioni. E, anche se presso numerose culture cibi particolari sono associati al rito della commemorazione dei defunti, è comunque universalmente riconosciuto il ruolo insostituibile del cibo nello scacciare l’idea della morte e dunque il suo valore consolatorio.

Sarà per queste ragioni che, da qualche anno, gli chef sono diventati protagonisti anche della scena narrativa e cinematografica? L’estensione del fenomeno parrebbe confermare l’ipotesi, almeno per quanto riguarda il genere light crime, ovvero il racconto d’indagine che si apre spesso al sorriso.

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Rubrica “Palato da detective”, n° 8 NE UCCIDE PIÙ LA GOLA

 

Articolo di Enrico Luceri

 

Achille van Golk è l’eccentrico, esigente, infallibile editore e direttore della rivista londinese di alta arte culinaria Lucullus. Un uomo di gusti raffinati, che ha appena avuto l’onore di organizzare un pranzo di gala nientemeno che a Buckingham Palace. Un privilegio che ha dimostrato di meritare reclutando i quattro chef internazionali in grado di cucinare per la corte inglese un menù all’altezza della situazione: il piccione in crosta del tedesco Ludwig Kohner, l’aragosta dell’italiano Antonio “Nutti” Fenegretti, l’anatra pressata del francese Jean-Claude Moulineax, e come dessert la rinomata Bombe Richelieu della canadese Natascha O’Brien.

Appare stravagante e quasi improbabile che un simile gourmet sia proprio britannico, visto che la sua terra non possiede la tradizione gastronomica, per dire, di Italia e Francia, ma tant’è. Può accadere più facilmente se si tratta di un romanzo, anzi di una ricca e godibile pietanza narrativa scritta dalla coppia di autori americani Nan e Ivan Lyons, moglie e marito nella vita, e servita sulla tavola apparecchiata dei lettori con ineccepibile garbo.

Pubblicato in Italia da Sonzogno nel 1978 con il titolo Cadaveri su piatti di classe (in originale, Someone is killing the great chefs of Europe), il romanzo è una divertente variazione del classico giallo rosa, con una singolare ambientazione in altolocati ristoranti dove si pratica l’alta cucina. Una trama ispirata forse involontariamente a un modello autorevole come l’indagine dell’ineffabile detective privato Nero Wolfe per risolvere il delitto commesso alla riunione annuale dei Quinze Maitres (Alta cucina, di Rex Stout), ma coniugandola con un brio, una verve, una girandola di allusioni e calembour talmente frizzanti da somigliare al delicato perlage di uno champagne millesimato. La suspense di conoscere la verità e l’identità dell’assassino è invece solo un pizzico, perché i lettori la apprendono fin dai primi capitoli.

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Palato da detective, n° 7 – IL GRANDE HITCH E IL CIBO COMPENSATORIO Bulimia e diete, un’altalena per tutta la vita

Articolo di Giusy Giulianini

 

Alfred Hitchcock, maestro indiscusso di suspense, è ancor oggi una delle figure più dibattute in termini psicoanalitici: i tormenti dell’inconscio, che dominano alcune tra le opere più celebri della sua filmografia (Io ti salverò, Psycho, Gli uccelli, Marnie), portano alla ribalta l’”altra scena della mente”, quella che pur sottoposta alla rigida censura della nostra razionalità non può tacere e sempre riesce ad aprirsi un varco trascinando con sé un doloroso disordine, spesso con esiti fatali nel nostro presente. Singolare, ma forse non casuale coincidenza, la data della sua nascita, 13 agosto 1899, è la stessa in cui fu pubblicata L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, base fondante della cattedrale psicoanalitica.

Non solo le sue opere, ma la sua stessa vita è poi divenuta oggetto di studio, in primis il suo rapporto con le donne che se da un lato lo portò a innalzare su un inarrivabile piedistallo la moglie Alma Reville, sposata a ventisette anni quando il regista era ancora vergine, dall’altro lo costrinse a desiderare per tutta la vita le sue protagoniste femminili, quelle bionde sotto la cui patina algida e perfetta il grande Hitch amava intravvedere una violenta e mai confessata sensualità. Prima fra tutte Tippi Hedren, la più desiderata, che sopra ogni altra incarnò ai suoi occhi il folgorante ossimoro di “ghiaccio bollente”, pu

Fig.1_Cena come tema ricorrente

r coniato a dir il vero per Grace Kelly.

Per chi abbia qualche rudimento di meccanismi compensativi non è difficile comprendere come quel suo desiderio, per forza negato in virtù di una formazione cattolica sessuofoba e di un aspetto fisico privo di attrattive, finisse per essere sublimato nel cibo e nell’alcol.

Hitchcock passò così la vita in un’altalena incessante di dissennati periodi bulimici e diete virtuose, oscillando tra i centotrenta/centoquaranta chili dei primi e i cento delle seconde.

Il perfezionismo, che senza distinzioni applicava ai suoi film nel tentativo di realizzare l’opera sublime e alla sua cucina inseguendo la ricetta gourmand che non lo facesse ingrassare, l’ebbe vinta solo in campo cinematografico. Per tutta la vita rimase schiavo del suo appetito insaziabile e altrettanto di diete dai risultati solo effimeri.

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