L’angolo giallo – COME E DOVE NACQUE MAIGRET

A CURA DI ENRICO LUCERI

Questa è una storia di caratteri forti, di personalità singolari e di carriere fuori dall’ordinario.

Eppure comincia nel modo più semplice, quasi banale: con un signore di mezza età dall’apparenza borghese che esce di casa come ogni mattina per recarsi al lavoro. Ha salutato sua moglie con affetto sobrio, ma non meno profondo, perché hanno il pudore dei sentimenti delle coppie di qualche generazione fa.

Adesso l’uomo di mezza età è sulla soglia del palazzo. Indossa un cappotto perché fuori l’aria è fresca e frizzante anche se è quasi primavera. Sfila di tasca una pipa, la infila in bocca e l’accende, aggiustando il tiraggio un paio di volte, quindi s’incammina sul viale alberato lasciandosi dietro una sottile scia di fumo aromatico. Il signore dal fisico massiccio deve fare una lunga camminata per recarsi in ufficio, che si trova distante, dove il fiume attraversa la città ma a lui piace passeggiare sui marciapiedi costeggiati di platani e guardare distrattamente le locandine dei quotidiani appese alle edicole dei giornali o il traffico sulla strada.

Strada, ma avremmo dovuto dire rue, perché siamo a Parigi, nell’XI arrondissement, e precisamente in Boulevard Richard-Lenoir 132, dove abita quell’uomo dall’aspetto borghese, che è diretto all’Île de la Cité, sulla Senna. I suoi collaboratori lo aspettano al Quai des Orfèvres, nel palazzo dove ha sede la Police judiciaire. Il signore di mezza età che fuma tranquillamente la pipa è un poliziotto, anzi un commissario. Di più: è una leggenda, protagonista di 75 romanzi, 28 racconti, una serie di film, telefilm e sceneggiati di cui si può perdere il conto, prodotti dalle televisioni di nazioni diverse. Perché lui, il poliziotto, è popolare in tutto il mondo, sulla sua vita e le sue inchieste esiste una saggistica vastissima e ha avuto perfino una versione a fumetti. Un successo che da quasi ottant’anni non conosce flessione, tanto che un paesino olandese gli ha dedicato una statua, inaugurata nel 1966. Perché una statua e perché proprio a Delfzjil, accanto alla foce del fiume Eems, sul Mare del Nord?

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Angolo Giallo – QUANDO INDAGA TEX…

di Enrico Luceri

…allora la situazione è davvero complicata, verrebbe da pensare. Già, perché il ranger creato da Giovanni Luigi Bonelli e realizzato graficamente dal grande disegnatore Aurelio Galleppini (in arte Galep) non è tagliato per le indagini che seguano i canoni delle polizie più evolute della sua epoca, ma applica un metodo molto più concreto e spiccio: pugni, Colt 45 fumanti, poche parole ma abbastanza incisive da spingere anche il più incallito furfante a collaborare, spiattellando senza tergiversare tutto quello che sa. Questo dipende anche dal fatto che il nostro eroe ha quasi sempre a che fare con loschi contrabbandieri, assassini di mezza tacca al soldo di padroni apparentemente rispettabili e in realtà assai più corrotti, che usano il denaro per prezzolare chi si sporcherà le mani al loro posto. Quasi sempre, abbiamo detto, perché l’universo narrativo creato dalla fantasia di Bonelli, padre di Sergio, a sua volta abile sceneggiatore nonché già titolare della casa editrice che porta il loro cognome, è talmente vasto che vi trovano posto personaggi e situazioni decisamente trasversali rispetto alla tradizione più convenzionale del western. Chissà se si deve proprio alla fama di lettore e spettatore onnivoro di opere di qualsiasi genere, purché contaminate dal virus benefico dell’avventura, l’incentivo che rese Giovanni Luigi Bonelli artefice di una numerosa serie di saghe che rappresentano un filone non certo secondario nella storia di Tex Willer, un fumetto tuttora amatissimo dal pubblico italiano, a oltre settant’anni dalla sua nascita. Un fenomeno di costume che si tramanda da una generazione all’altra e anche in periodi di feroce contestazione ha rappresentato uno dei pochi elementi in grado di accomunare padri e figli, giovani e meno giovani, intellettuali e semplici lavoratori, senza distinzioni sociali, in virtù di un messaggio elementare senza essere banale: quello della giustizia che non tiene conto né dei pregiudizi né del colore della pelle ma viene fatta rispettare a ogni costo, anche infrangendo delle leggi senza per questo sollevare polveroni nell’opinione pubblica più garantista.

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ANGOLO GIALLO. LA SETTIMANA ENIGMATICA, DAI GIOVEDÌ DELLA SIGNORA GIULIA ALLE DOMENICHE DEL SIGNOR CHIARA

di Enrico Luceri

La provincia italiana pigra e pettegola, una cittadina affacciata su un placido lago, una moglie molto più giovane del marito, abile avvocato compassato fino alla freddezza, un commissario di Pubblica Sicurezza dal cognome quasi contraddittorio: Sciancalepre. Un triangolo, dunque, ma non il convenzionale gioco di ruolo in cui il terzo lato è rappresentato dall’amante, bensì da un poliziotto. Perché un commissario? E poi, non sarebbe corretto chiamarla Polizia di Stato?

Calma, una domanda alla volta.

Un investigatore perché la moglie, non ancora quarantenne e tanto meno sfiorita dalla convivenza con quel marito attempato e privo (in apparenza) di passioni, è scomparsa. Fuggita, suicida, assassinata?

Accade nel 1955, nella cittadina di M., ecco perché la Polizia si chiama ancora Pubblica Sicurezza, e l’indagine sulla scomparsa della signora Giulia Zaccagni-Lamberti coniugata Esengrini (come reciterebbe qualche burocratico modulo della locale questura), patronessa di un comitato dedito a opere pie, madre esemplare senza slanci affettivi e moglie trascurata senza rimpianti, diventa un mistero. Anzi, un giallo.

Già, perché questo è l’avvio di uno dei più bei romanzi di Piero Chiara, lo scrittore nato a Luino ma di origini meridionali, cantore ironico e disincantato della piccola provincia lombarda: I giovedì della signora Giulia, edito da Mondadori nel 1970 (sebbene pare sia stato scritto circa 8 anni prima).

Pietro Chiara

Ogni giovedì, immancabilmente, la signora Giulia prendeva il treno che la conduceva da M. a Milano, a trovare la quindicenne figlia Emilia che studia da interna in un collegio di suore Orsoline. Tutti i giovedì, fino a quel 12 maggio 1955, quando scompare nel nulla. Fuga, suicidio, assassinio?

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ANGOLO GIALLO – AMBROSIO, IL DETECTIVE DELLA MEMORIA

RUBRICA A CURA DI ENRICO LUCERI

Il destino letterario di uno scrittore di gialli e del suo personaggio si compiono nello stesso giorno, per essere precisi una sera dell’Epifania, umida e nebbiosa come può essere solo nell’inverno milanese.

Era qualche tempo che Renato Olivieri, apprezzato giornalista e già direttore di periodici a grande diffusione, girava con un foglietto in tasca. Aveva scarabocchiato una frase: “In effetti c’era qualcosa di strano nella morte della signora Kodra”. La sera del 6 gennaio 1976 Olivieri sedette davanti alla macchina da scrivere e compilò il certificato di nascita di colui che sarebbe diventato uno dei personaggi più popolari della narrativa italiana di genere: Giulio Ambrosio, all’esordio vice-commissario e in seguito promosso dirigente della Squadra Mobile milanese.

Quando Ambrosio comincia indagare è sulla soglia della cinquantina, e non è felice, anzi ha una latente tendenza a una comprensibilissima malinconia che potrebbe addirittura divenire una subdola depressione. Confinato a occuparsi di borseggi e rinnovi di passaporti nella questura centrale, lo attende alla sera un monolocale in via Solferino, trendy finché si vuole ma desolatamente vuoto. Francesca, la moglie, lo ha lasciato da anni e si è trasferita a Roma, dove ha un nuovo compagno, un musicista dell’Accademia di Santa Cecilia. Questo dettaglio spiega forse lo scarso interesse di Ambrosio per la musica (mentre al contrario è un raffinato intenditore di arti figurative, soprattutto contemporanee, e di letteratura) e la sua malcelata diffidenza per le ambigue atmosfere della capitale, in confronto alle familiari brume milanesi.

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