di Enrico Luceri
La provincia italiana pigra e pettegola, una cittadina affacciata su un placido lago, una moglie molto più giovane del marito, abile avvocato compassato fino alla freddezza, un commissario di Pubblica Sicurezza dal cognome quasi contraddittorio: Sciancalepre. Un triangolo, dunque, ma non il convenzionale gioco di ruolo in cui il terzo lato è rappresentato dall’amante, bensì da un poliziotto. Perché un commissario? E poi, non sarebbe corretto chiamarla Polizia di Stato?
Calma, una domanda alla volta.
Un investigatore perché la moglie, non ancora quarantenne e tanto meno sfiorita dalla convivenza con quel marito attempato e privo (in apparenza) di passioni, è scomparsa. Fuggita, suicida, assassinata?
Accade nel 1955, nella cittadina di M., ecco perché la Polizia si chiama ancora Pubblica Sicurezza, e l’indagine sulla scomparsa della signora Giulia Zaccagni-Lamberti coniugata Esengrini (come reciterebbe qualche burocratico modulo della locale questura), patronessa di un comitato dedito a opere pie, madre esemplare senza slanci affettivi e moglie trascurata senza rimpianti, diventa un mistero. Anzi, un giallo.
Già, perché questo è l’avvio di uno dei più bei romanzi di Piero Chiara, lo scrittore nato a Luino ma di origini meridionali, cantore ironico e disincantato della piccola provincia lombarda: I giovedì della signora Giulia, edito da Mondadori nel 1970 (sebbene pare sia stato scritto circa 8 anni prima).

Ogni giovedì, immancabilmente, la signora Giulia prendeva il treno che la conduceva da M. a Milano, a trovare la quindicenne figlia Emilia che studia da interna in un collegio di suore Orsoline. Tutti i giovedì, fino a quel 12 maggio 1955, quando scompare nel nulla. Fuga, suicidio, assassinio?
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