Trama: Nel gelo della notte polare sferzata dal vento e dalla pioggia, Herjólfur, il nuovo ispettore capo della polizia di Siglufjördur, viene ucciso a sangue freddo in una casa abbandonata, alle porte della città. Per quale motivo si trovava lì a quell’ora, in un luogo su cui da anni circolano strane storie relative a crimini, antichi e nuovi? Ad affiancare Ari Thór nella caccia al colpevole arriva da Reykjavík anche Tómas, il suo vecchio superiore: la morte di un polizotto è una faccenda molto delicata, e a quanto pare, in quel piccolo centro di pescatori affacciato su un fiordo del Nord dell’Islanda, sono in tanti ad avere qualcosa da nascondere. L’inchiesta tocca la politica locale e si scontra con i boss del posto, che portano avanti i loro equivoci affari col tacito consenso di tutti. Passo dopo passo, viene alla luce anche una scia di soprusi e violenza che sembra attraversare l’intero paese, da sud a nord, oggi come nel passato. E mentre il sole si prepara a sparire dietro le montagne per due lunghi mesi, la comunità di Siglufjördur sente di aver perso per sempre la tranquillità, e con essa la propria innocenza.
1998, New York, parata del Giorno del Ringraziamento: Kiera Templeton, tre anni, sparisce. Succede tutto in un attimo: il padre perde la presa calda e leggera della mano di sua figlia e improvvisamente non la vede più, inghiottita dalla folla che si spintona. Inutile chiamarla, chiedere aiuto e disperarsi. Dopo lunghe ricerche, vengono ritrovati solo i suoi vestiti e delle ciocche di capelli. 2003, cinque anni dopo, il giorno del compleanno di Kiera: i suoi genitori ricevono uno strano pacchetto. Dentro c’è una videocassetta che mostra una bambina che sembra proprio essere Kiera, mentre gioca con una casa delle bambole in una stanza dai colori vivaci. Dopo pochissimo lo schermo torna a sgranarsi in un pulviscolo di puntini bianchi e neri, una neve di incertezza, speranza e dolore insieme. Davanti al video c’è anche Miren Triggs, che all’epoca del rapimento era una studentessa di giornalismo e da allora si è dedicata anima e corpo a questo caso. È lei che conduce un’indagine parallela, più profonda e pericolosa, in cui la scomparsa di Kiera si intreccia con la sua storia personale in un enigmatico gioco di specchi…
Bruno Vallepiano è nato a Roburent dove risiede tutt’oggi. Si è occupato per oltre 40 anni di attività turistiche legate al mondo della neve ed ha ricoperto dal 2004 al 2016 la carica di sindaco.
È stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana da Presidente Mattarella con decreto del 2 giugno 2018.
Nel 2018 si è guadagnato il secondo posto al premio letterario internazionale Marchesato di Ceva con il romanzo Gioco Fatale (Araba Fenice Edizioni), nel 2021 ha ricevuto una menzione d’onore per Trappola per lupi (Golem Edizioni), al Premio letterario internazionale P. Semeria, Casinò di Sanremo.
Ha iniziato negli anni ottanta la sua attività di scrittore con le prime esperienze presso il settimanale Gazzetta di Mondovì (oggi Provincia Granda) sotto la guida di Nino Manera.
Ha pubblicato con vari editori, guide e saggi sulla montagna, racconti e narrativa legata alla “mitologia della Montagna” e poi, nel 2008 ha esordito come scrittore di libri gialli-noir per la Fratelli Frilli Editori di Genova, ha diretto per dieci anni la collana ARabaGIalloNEra presso l’editore Araba Fenice con sede a Boves.
Attualmente pubblica con Golem Edizioni e con Fusta editore.
È l’ideatore del concorso letterario nazionale La Quercia del Myr e del festival Giallormea.
Terzo appuntamento con la rubrica “Alla ricerca del libro perduto”. La mia proposta è – Il Partigiano Johnny – di Beppe Fenoglio. Libro incompiuto, venne pubblicato postumo da Einaudi nel 1968, ebbe una vicenda editoriale particolare: la prima versione pubblicata era composta da due stesure diverse. I curatori della casa editrice Einaudi si basarono soprattutto sulla seconda stesura, a seguito della pubblicazione si aprì una discussione letteraria perché si riteneva che “Il Partigiano Johnny” fosse da considerare la prima opera di Fenoglio sulla Resistenza. Dalla prima parte del romanzo, Beppe Fenoglio, aveva tratto “Primavera di bellezza che pubblicò con Garzanti. Sempre dalle prime stesure Fenoglio attinse per pubblicare altri romanzi come “Una questione privata e i racconti “I ventitré giorni delle città di Alba”. Nel 1978 Maria Corti curò un’edizione critica delle opere di Fenoglio riportando le due versioni de “Il Partigiano Johnny” integralmente, questa edizione critica però, non ebbe la stessa fortuna della prima edizione del 1968. Nel 1992 e nel 2002 Dante Isella, sempre per Einaudi, propose invece un testo che unì la prima e la seconda versione in modo da migliorare la leggibilità del romanzo. Nel 2015 nella Collana Letture Einaudi venne pubblicato “Il libro di Johnny” a cura di Gabriele Pedullà che ripristinò la scansione temporale degli avvenimenti partendo dagli anni del liceo fino all’adesione ai partigiani. Nel 2000 dal libro venne tratto un film diretto da Guido Chiesa che si rifece alla prima stesura del romanzo. A febbraio di quest’anno, sempre per Einaudi, è uscita una nuova edizione con l’introduzione di Gabriele Pedullà e con il contributo di Dante Isella.
Trama
“Il partigiano Johnny” restituisce i principi ideali e le paure e le ragioni e i sogni di una intera generazione come nessun libro è riuscito a fare». “Il partigiano Johnny” è riconosciuto come il più originale e antiretorico romanzo italiano sulla Resistenza. La storia è quella del giovane studente Johnny, cresciuto nel mito della letteratura e del mondo inglese, che dopo l’8 settembre decide di rompere con la propria vita e di andare in collina a combattere con i partigiani. Una storia simile a quella di molti altri giovani e di molti altri libri scritti sullo stesso argomento. Ma Fenoglio riesce a dare alle avventure e alle passioni di Johnny una dimensione esistenziale ben più profonda e generale, che racconterà per sempre che cosa sono stati i partigiani e la Resistenza in Italia. Con “La lingua del «Partigiano Johnny” di Dante Isella; una nota bibliografica e la cronologia della vita e delle opere.
Londra, 1959. L’inverno è iniziato male per Craig Thorne, ispettore della polizia di Bedford, impegnato senza troppo successo a rifarsi una vita nella capitale. È un’alba gelida di inizio dicembre quando gli viene affidata la sua prima indagine in quella città ancora sconosciuta: un atelier e una statua di marmo con le fattezze di una violinista che, però, con quel cadavere tra le braccia, assomiglia alla grottesca riproduzione di una Pietà. Le ipotesi dell’ispettore finiscono sempre per sbriciolarsi, fino a quando l’indagine, in un susseguirsi di colpi di scena, comincia a sprofondare nel passato della vittima. Ma mentre cerca di sciogliere questa inestricabile sciarada, Thorne, tra nuovi colleghi invadenti, quartetti di Brahms e un’amicizia spigolosa, deve avere anche il tempo, tra la sera e la notte, di affrontare i propri fantasmi.
Recensione a cura di Gino Campaner (ginodeilibri)
E’ qualche tempo ormai che non leggo libri molto voluminosi. Qualche anno fa era la prassi: più i romanzi erano lunghi più io li apprezzavo. Adesso invece amo molto di più i libri con una dimensione normale, diciamo non più di 300 pagine o quelli molto brevi che contano 120/150 pagine. Che poi, di per sé, la lunghezza di un romanzo non vuol dir nulla, quello che conta veramente è ciò che viene raccontato e come. Forse è cambiata solo la mia volontà che non è più quella di calarmi in storie infinite. Fatto sta che allo stato attuale queste sono le mie prerogative. Il romanzo che ho appena terminato di leggere e che si intitola Una scheggia di tristezza purissima, scritto da Simona Matraxia, conta più di 480 pagine. Nella versione ebook (quella che io ho letto) le pagine sono addirittura cento in più. Per lui quindi ho fatto un’eccezione. L’ho fatta perché ho letto la quarta di copertina e la descrizione della trama e mi ha più che mai colpito e incuriosito. A completare il quadro c’erano anche le opinioni positive di chi lo aveva già letto. Si d’accordo le recensioni vanno sempre prese con le pinze, si sa che il gradimento di un libro è sempre molto soggettivo ma anche quello comunque ha influito. Devo dire in definitiva che ho fatto bene a farmi convincere e convincermi io stesso. Il romanzo è senz’altro costruito benissimo; è complesso, come trama e come impianto narrativo, ma l’autrice è bravissima a raccontare tutto in maniera molto fluida e molto chiara. Il libro si dispiega lentamente ed è pieno di sorprese e di rivelazioni. Non annoia e ti coinvolge tanto che la lettura scorre rapida e coinvolgente. L’azione si svolge nel 1959 ed il protagonista è l’ispettore Craig Thorne, appena giunto a Londra da Bedford, il quale dovrà indagare per scoprire colui che ha ucciso un giovane artista, scalpellino e vignettista, impegnato, in quel momento, nella realizzazione di una scultura. L’indagine appare da subito molto difficile per la mancanza di un chiaro movente e di conseguenza di eventuali sospettati. Tanti sono i personaggi che animano il romanzo, molti dei quali vengono raccontati con particolare accuratezza. La figura più controversa è senz’altro l’ispettore Craig Thorne del quale ci viene, a poco a poco, svelato il suo passato che lo tormenta senza sosta facendogli vivere un presente pieno di amarezza e dubbi. La vicenda che via via si dipana si fa ad ogni pagina più complessa, nella stessa infatti, oltre alle indagini per l’omicidio, se ne intrecciano molte altre: la vita passata dell’ispettore, che ha lasciato profondi strascichi nel presente; la vita di due famiglie molto in vista, anch’esse con numerosi scheletri nell’armadio; e tante altre. Ed è questo, a mio avviso, l’unico punto debole dell’opera di Matraxia. Il romanzo è molto ricco di storie, forse troppo. Con tutto ciò che succede in questo romanzo di libri se ne sarebbero potuti costruire due. Una cosa che ho rilevato, e che ha un po’rallentato la lettura, è l’eccessivo spazio dedicato alle descrizioni. A parer mio lasciando più spazio all’azione e meno alle descrizioni il libro sarebbe stato decisamente migliore. Si sarebbero risparmiate 100 pagine e si sarebbe reso il romanzo più ritmato e con meno pause. Poi l’ispettore Thorne è certamente un investigatore al quale non si può non affezionarcisi ma, sempre a mio giudizio, è fin troppo macerato, troppo tormentato. Dedito all’alcol, al fumo ed a pensieri nefasti. Va bene dare all’investigatore di turno un vissuto burrascoso e un doloroso rimuginare mentale ma qui si è un po’ troppo calcato la mano. Per me in conclusione Una scheggia di tristezza purissima è un romanzo scritto e sviluppato in maniera molto convincente, con un finale adeguato e coerente; con l’unico difetto di aver esasperato troppo la figura dell’ispettore ed aver forse messo, come si dice, troppa carne al fuoco.
Spinto dal desiderio di scoprire qualcosa sulle sue origini e trovatosi incastrato in una situazione scomoda, il detective italo africano Angelo Babacar Bossi lascia la Val Brembana alla volta del Senegal, per lavorare come cooperante in una missione gestita da una O.N.G. italiana. Ma la tranquillità non dura a lungo: durante il suo soggiorno nella terra natia, Angelo si imbatterà nello strano caso della scomparsa di una bambina di un villaggio vicino. Le circostanze oscure di questa sparizione condurranno Angelo verso un’indagine pericolosa che coinvolge diversi bambini sequestrati. Una storia di serial killer e pedofilia dal taglio ironico e scorretto, i cui dettagli riveleranno al detective verità sconcertanti.
Torino, il cadavere di una ragazza di colore viene trovato sulle sponde del fiume Po. Il responsabile dell’indagine è il commissario Riccardo Montelupo, un poliziotto sui generis ma integerrimo e amatissimo dai suoi collaboratori. La scarsità di indizi e un muro di omertà rende complicato dipanare la matassa che si cela dietro questo omicidio, fino a che una fuga di notizie e la decisione di un cronista di pubblicare le immagini del cadavere martoriato daranno un’improvvisa accelerata alle indagini. In una Torino multietnica e postindustriale, in cui sfruttati e sfruttatori non sono sempre così distinguibili, si snoda una vicenda che mettere a dura prova il commissario Montelupo facendo vacillare anche alcune sue certezze.
Strano incarico quello che una signora dell’alta borghesia torinese affida al detective argentino-piemontese Hector Perazzo: rintracciare le spoglie del padre, manager industriale sequestrato e ucciso più di quarant’anni prima a Buenos Aires da un gruppo terroristico. Un lavoro in apparenza privo di rischi: a chi può interessare una vecchia vicenda dei sanguinosi anni Settanta?
E invece, appena tornato in patria dopo molti anni, Perazzo si accorge che qualcuno, pur di fermarlo, non esita a scatenargli contro una banda di narcos colombiani. Perché? Che cosa si nasconde dietro la lontana scomparsa del manager torinese Grimaldi Stucchi? Per quale motivo uno spezzone corrotto della Policía Federal vuole impedirgli a tutti i costi d’investigare su un vecchio delitto politico? Per scoprirlo e salvare la pelle, Hector chiede aiuto a un ex agente coinvolto nelle violenze della dittatura militare, a un flemmatico intellettuale che si è lasciato alle spalle la guerriglia marxista, a un’ambiziosa giornalista di «nera» e a una sensuale ballerina di tango.
«‘Viaggerai scomodo, Gordo’, disse ridacchiando l’ex poliziotto, ‘per motivi di sicurezza dobbiamo metterti nel bagagliaio, così se i narcos controllano le strade del quartiere non sospetteranno di nulla. Ma non preoccuparti, sopra la targa ci sono un paio di buchi nella carrozzeria per poter respirare.’ Poi chiuse il cofano del bagagliaio e su di me precipitò l’oscurità. Sentii il motore della vecchia Falcon che tossicchiando si rimetteva in moto e attraverso un foro nella carrozzeria intravidi le vie buie della Boca allontanarsi in fretta. L’auto imboccò la stretta strada al di sotto del viadotto e raggiunse l’immensa avenida 9 de Julio, che taglia Buenos Aires da sud a nord. Pensai alle mie condizioni e a che cosa avrebbe pensato Giuliana se mi avesse visto in quel momento: ero prigioniero nel bagagliaio di una vecchia automobile alla mercé di un ex poliziotto sadico e corrotto che tirava a campare organizzando furti e raccogliendo spazzatura.»
Fra inseguimenti, agguati, tradimenti e colpi di scena, capirà a sue spese che in Argentina, come nella Torino in cui ormai ha scelto di vivere, le ferite degli anni di piombo non si sono ancora del tutto rimarginate… Tra il Po e il Rio della Plata, un noir sensuale e malinconico come un tango, amaro e inevitabile come un rimpianto. E una certezza: per uomini come Perazzo, non esistono happy end.
L’avvocato Roberto Corsaro riceve una strana lettera nel suo studio: un’anziana nobildonna vuole incontrare lui e il fratello Fabrizio, giornalista, per proporre loro un incarico. Incuriositi, i Corsaro accettano l’invito e raggiungono la donna a Modica. Il compito che l’anziana affida loro è però più complicato del previsto: dovranno riaprire un caso di omicidio risalente a trent’anni prima, una torbida storia che ruota intorno all’uccisione, in una villa di Cefalù, di una giovane ragazza. Attraverso le loro indagini e i racconti di chi visse in prima persona quella vicenda, i fratelli
Corsaro compiranno un viaggio a ritroso nel tempo, scoprendo una Sicilia diversa… e una terribile verità.
Non sapevamo granché di musica, noi che eravamo adolescenti a metà degli anni Ottanta. Guardavamo Videomusic e restavamo incantati davanti a certi video sorprendenti tipo Sledgehammer di Peter Gabriel o Land of Confusion dei Genesis, ma mica lo sapevamo che Peter Gabriel aveva cantato nei Genesis quando Phil Collins ne era soltanto il batterista. Little Steven che cantava Bitter Fruit aveva la stessa faccia seria e arrabbiata di Bruce Springsteen in Born in the Usa ma non sapevamo nulla dei loro trascorsi comuni, dell’epica della E Street Band: sapevamo solo che il primo la bandana la portava in testa e l’altro intorno alla fronte. Il che ce lo faceva sovrapporre visivamente al cantante dei Dire Straits, quelli di Money for Nothing. Le avremmo imparate dopo, le informazioni utili.
Ma oltre ai video e alle canzoni, dei videoclip coglievamo anche altri importanti dettagli. Noi che avevamo tredici o quattordici anni, gli ormoni in ebollizione e un improvviso interesse per i cataloghi di Postalmarket, eravamo molto interessati a qualunque tipo di apparizione femminile sopra il marchio di Videomusic. Un’interessantissima Debbie Harry in French Kissin’ (In the Usa), Patsy Kensit degli Eighth Wonder (della quale potevamo addirittura vedere le spalle e i piedi nudi emergere da una vasca da bagno!), qualche ragazza sdrucita e dall’aria perversa nei video hard rock…
E poi c’era la dottoressa sexy. Quella del video di Sexual Healing di Marvin Gaye, quella che provava la pressione a Marvin Gaye indossando un camice che mostrava ampiamente le belle gambe, per la nostra gioia. Poi dottoressa e paziente bevevano una specie di pozione d’amore, lei si toglieva gli occhiali, e i due si baciavano nell’ambulatorio. Tra una sequenza e l’altra di questa love story medicale, un elegantissimo Marvin Gaye cantava in un locale circondato da quattro avvenenti coriste.