Indolente e sognatore, Francesco Cuccovillo è fuggito da Bari per abbracciare la carriera di giornalista a Roma. A distanza di vent’anni, gli amici d’infanzia gli chiedono di consegnare una misteriosa lattina sigillata a un ingegnere lombardo, specializzato durante gli anni Ottanta e Novanta negli autoaffondamenti di navi stipate di rifiuti tossici lungo le coste italiane e somale. Francesco darà la caccia a questo fantomatico ingegnere inseguendo l’ultimo viaggio del cargo “Quadrifoglio Rosso”, lungo le rotte del Mediterraneo. La sua ricerca si incrocia con le vicende disperate della rivoluzionaria còrsa Marie e del clandestino tunisino Khaled. Stretto nel suo caban, con un Garibaldi tra le labbra, fischiettando “Oblivion” di Astor Piazzolla, tra magistrati corrotti, fidanzate petulanti, criminali pentiti, lap dancer romantiche, politici ambigui e ambientalisti disillusi, nel nome della giustizia e del perdono, Francesco scoprirà quanto è sottile il confine tra verità e menzogna.
Sul finire dell’estate più piovosa di sempre, un terzetto di rapinatori mascherati minaccia Milano e la Riviera romagnola. La polizia non riesce a venirne a capo: perché i tre indossano vistosi costumi ispirati ai personaggi delle favole? Perché il Gatto con gli Stivali, la Fata Turchina e Zorro prendono di mira modesti studi professionali, bar scalcinati e perfino un circolo ricreativo per pensionati? Il caso dà filo da torcere anche alle Miss Marple del Giambellino, e per Libera diventa una preziosa distrazione: ha appena saputo che Gabriele, l’uomo che ama da sempre, sta per sposarsi. La fioraia milanese avrà il coraggio di affrontare gli ostacoli che intralciano la loro relazione? O per lei è arrivato il momento di rinunciare al commissario e di aprirsi a un dolce e assiduo corteggiatore? Con il procedere dell’indagine, ai tormenti del suo cuore si aggiunge un’inaspettata, sconvolgente rivelazione. Perché la maschera di uno dei banditi nasconde un segreto che la riguarda da vicino…
TRAMA: Pancrazio Lotale, un generale dei paracadutisti in pensione che insieme ad alcuni ex commilitoni ha fondato una società di sicurezza, apprende che il maturo amante della figlia Dominique è deceduto dopo una lunga malattia. Purtroppo, quasi subito Dominique scompare mentre prendono consistenza i sospetti sul suo ruolo nella morte del compagno. Il mistero s’infittisce quando a Roma, in piazza della Pigna, viene ritrovato un cadavere orrendamente mutilato e privo della testa. L’appartamento nel quale è stata scoperta la vittima è di proprietà di Dominique Lotale. Nel frattempo, matura uno scontro tra la società di sicurezza di Lotale e una banca che sembra legata ad ambienti criminali. Siccome di Dominique continua a non esserci traccia, il generale e la consorte, da cui è diviso, si rivolgono all’ex procuratore della repubblica Italo Agrò, divenuto titolare di un importante studio legale di Roma insieme alla moglie Marta Aletei. Sarà lui a dover dipanare una matassa resa assai ingarbugliata – e pericolosa – dai forti interessi economici e criminali che sono in gioco.
È una domenica d’agosto del 1986 quando un aereo da turismo precipita in un’impenetrabile foresta dei monti Bitterroot, nel Montana. A bordo oltre al pilota ci sono i signori Waldrip, un’anziana coppia texana in vacanza. L’aereo risulta disperso, e le ricerche non danno esito. Ma Cloris Waldrip, 72 anni, è sopravvissuta. È la sua voce che ascoltiamo per metà del libro: la voce interiore di una donna piena di spirito e di energia, che non si lascia scoraggiare dalla situazione impossibile in cui si ritrova e cerca di sopravvivere con coraggio e umorismo, raccontandosi storie del passato e rivelandosi verità mai confessate mentre avanza nella foresta guidata solo dal buonsenso, si nutre di bacche, vermi, erbe, dorme nelle caverne, sfugge per miracolo a ogni genere di pericoli e insidie. L’altra metà del libro è occupata da Debra Lewis, ranger che nel thermos tiene Merlot dozzinale invece del caffè ed è la sola, contro ogni logica, a continuare a seguire le tracce esili e contraddittorie che sembrano dire che Cloris è ancora viva. I giorni diventano settimane; la polizia è alla ricerca di un molestatore-rapitore di bambine che sembra aver trovato rifugio nella stessa foresta; Cloris è sempre più debole, affamata, diminuita dal freddo; Debra sempre più ostinata. Qualcosa deve succedere. Drammatico e umoristico, ricco di sfumature, svolte e sorprese, “Tutto il bene che si può “è il romanzo della sorprendente capacità di adattamento di persone normali in circostanze straordinarie. Ci offre due personaggi memorabili che col loro piccolo eroismo ci ricordano che sopravvivere non basta: per restare umani ci vogliono compassione e dignità.
L’infanzia in una famiglia colta e stravagante, fra libri, arte e case di bambole, con madre e padre innamorati per tutta la vita; i tre anni in Germania al seguito del primo marito, medico in servizio in una base americana; taccuini fitti di poesie e pensieri sull’essere donna, e in sottofondo i Beatles; l’istinto materno e l’amore per i cani; le altre passioni e gli altri matrimoni (sono quattro in tutto); la società americana, com’è cambiata e dove sta andando; e naturalmente la scrittura, fonte di indipendenza e successo, e le letture importanti, gli incontri indimenticabili, il valore dello storytelling.
Macchiavelli è il padre del giallo politico, un giallo provocatorio, dissacrante e anomalo rispetto a ogni modello noto, dove si rovescia l’idea dell’ispettore “figo” con un’ironia irresistibile. Sarti Antonio, poliziotto onesto e tenace, è un antieroe umanissimo, dotato di straordinaria memoria, amante del caffè e affetto da colite cronica. Vive a Bologna, dove si svolgono la maggior parte delle indagini che volente o nolente è costretto ad affrontare. Fedele alla sua creatura più celebre e fortunata, Loriano Macchiavelli non ha mai smesso di scrivere per il questurino bolognese nuove avventure, sempre al passo con i tempi. Scopriamo in questi racconti “frammenti” sul passato del sergente, ma anche illuminanti lampi sul nostro presente, a dimostrazione del fatto che l’universo del protagonista è una copia fedele di quello in cui ognuno di noi abita. Con 8 indagini ritrovate per Sarti Antonio SEM continua la pubblicazione dei racconti, spesso introvabili, di Macchiavelli.
Recensione a cura di Edoardo Todaro
Le edizioni SEM stanno facendo qualcosa di importante. Nel maggio del 2020 potevamo trovare in libreria “ 33 indagini per Sarti Antonio “ un enorme tomo di ben 978 pagine. A distanza di un anno, gli affezionati lettori di Macchiavelli e del suo Sarti Antonio, hanno la possibilità di approfondire la conoscenza del sergente attraverso “ 8 INDAGINI, ritrovate, PER SARTI ANTONIO “. Racconti, spesso ormai introvabili, riemergono dall’oblio ed ora sono di fruizione possibile e sicuramente diffusa. Ma quando Macchiavelli ci racconta di Sarti Antonio è ovvio che non può non parlare di Bologna. Cos’è Bologna? Un posto tranquillo, ospitale, Bologna la dotta, la grassa con, anche lei, la sua periferia insicura e la baraccopoli sul Reno, con i suoi porticati e torri, con Piazza Maggiore ed il DAMS . E se vi manca qualche definizione da dare a Bologna, non dovete fare altro che leggere il testo della canzone di Francesco Guccini. Comunque una Bologna in agonia. Una Bologna che è cambiata nel profondo del proprio modo di essere, non più immune a quel senso di insicurezza, che è addebitata agli immigrati si fa strada ed i luoghi comuni, i discorsi che provengono dal bar divengono pensiero diffuso: “ … così non si può andare avanti “; “ sempre i soliti “, dove alcuni comportamenti sbagliati hanno diversa considerazione se sono tenuti dai bolognesi o dai “ nuovi”. In queste 439 pagine ci imbattiamo nell’anziano pensionato con le sue canzoni in dialetto ed in coloro che essendo ai margini della società vengono sospettati per qualunque illegalità avvenga. Sarti Antonio, sergente che come grado non esiste nella realtà, anche se è proprio l’irrealtà che da il fascino al romanzo poliziesco, dagli affetti negati, “ solo come un cane”, e con una memoria che se certamente è utile per le sue investigazioni, che fa invidia ad un computer, in realtà è l’unica dote a sua disposizione. Ritroviamo il Sarti Antonio con la sua umanità di fronte alle nuove generazioni quando queste si trovano in difficoltà e che riconosce nei “ delinquenti “ un etica nonostante la scarsa considerazione che nutrono nei confronti delle forze dell’ordine. Con la sua colite, cronica di origine nervosa, curabile solo con la tranquillità e la lontananza dal lavoro, in quanto quando è dentro un problema vuole arrivare alla sua soluzione a costo di star male, e la sua macchinetta per il caffè. Un sergente che si confronta con l’emergenza abitativa che è ancora più pesante per quelle famiglie immigrate per le quali una casa popolare sarebbe un lusso. Anche in queste indagini Sarti si rivela come un’anomalia: un poliziotto che si pone troppe domande alle quali non riesce a dare risposte, a cui non sembra giusto niente . Possiamo definire un Sarti di un altro tempo, vista la considerazione riposta nella tecnologia, refrattario al caffè delle macchinette come del micidiale schermo televisivo che produce rimbambimento e che pensa al passato con nostalgia .Ma se si parla di Bologna non si può non parlare dei suoi misteri, della Uno bianca, del Pilastro, dell’università e della contestazione che ha segnato i muri con la sua rivoluzione permanente, dell’assassinio dello studente Francesco Lorusso il 12 marzo del 1977, di Radio Alice e la militarizzazione della città con i carri armati; le ruspe che ripristinano la legalità. Ma se Macchiavelli approfondisce la figura di Sarti Antonio, incontriamo tutti coloro che segnano la vita del sergente: Felice Cassoni agente e la “sua” 28; Raimondi Cesare ispettore capo con il suo inconfondibile “è vero come si dice”; la biondina, l’unica donna di Sarti; Rosas il talpone universitario sessantottino a cui non torna di vedere Sarti come un questurino, che disquisisce sul concetto di legalità; Settepaltò il senza dimora con le sue turbe sugli effetti delle radiazioni. Il finale ci introduce a qualcosa con cui non avevamo fatto i conti in precedenza: il lockdown ed il dubbio, il punto interrogativo riguardo a Sarti Antonio e la sua capacità di affrontarlo.
Andrea e Marco, due studenti come tanti, sono gli scomodi testimoni di un evento inquietante: le torbide acque del lago Piccolo di Avigliana nascondono un terribile segreto a cui non possono più sfuggire. Aldo Sciortino, uno strano personaggio soprannominato «il Pretino», accusato da una serie di lettere anonime di essere un pedofilo, si ostina a stazionare giorno dopo giorno su una panchina di fronte all’area giochi del parco della Pellerina. Osserva i bimbi, e nulla più. Due storie parallele (ma nella realtà non è vero che due rette parallele non s’incontrano mai…) che metteranno a dura prova il dottor Stelvio e i poliziotti della Omicidi torinese. Dovranno affrontare il male più oscuro e devastante, quello in grado di nascondersi, mimetizzarsi, mutare sembianze come in un gioco di specchi. Un romanzo torinese che parla del qui e ora, che parla di noi. Che mette in scena le peggiori paure che ci ossessionano e non osiamo confessarci. Un esempio di noir metropolitano contemporaneo. Duro, senza fronzoli, in cui i confini tra legge e crimine non sempre sono così netti…
Furio è un ragazzo come gli altri. Se non fosse che non ha molti amici, e che suo padre, il suo miglior amico, è un tifoso romanista incapace di ascoltarlo durante le partite della sua squadra del cuore. Furio rimarrebbe un ragazzo come gli altri, se non fosse che questa solitudine l’ha portato a crearsi un amico immaginario, una persona con cui parlare, e a cui chiedere consigli. Un amico immaginario però ce l’hanno molti bambini. Alcuni un orso, altri un coniglio gigante. Furio no. Furio come amico immaginario ha scelto un personaggio unico: Zdenek Zeman.
Il passo del Brennero: un luogo incastonato nelle Alpi e carico di storia, dove hanno soggiornato scrittori, statisti, commercianti, e dove oggi transitano veloci le merci e i turisti che vanno dall’Italia in Austria e viceversa. Un posto tranquillo, come del resto è tutto l’Alto Adige. Eppure, proprio qui il commissario Grauner e il suo collega napoletano Saltapepe si trovano di fronte a un omicidio raccapricciante. Un anziano del posto viene trovato brutalmente assassinato. Era una persona molto riservata, l’unico svago una partita a carte al bar. Nessuno sa molto di lui, nemmeno i compagni di gioco. O forse sanno qualcosa e non vogliono parlare, finché un altro giocatore non scompare senza lasciare traccia… Le indagini conducono l’ispettore nei meandri più oscuri della storia locale, e anche della storia personale di Grauner: il ritrovamento di una vecchia valigia, infatti, sembra collegare il caso con la morte dei genitori del commissario barbaramente uccisi nel loro maso tanti anni prima, un doppio delitto rimasto senza colpevole. Il Brennero è un posto tranquillo, ma la quiete della sua notte è una quiete ingannevole…
Lazzaro Romano ha vissuto una vita intensa, con una frattura profonda: aver dovuto lasciare la sua terra, la Puglia bella e selvatica, per scappare in Argentina, nel 1978, in una notte che lo cambierà per sempre. La traversata in mare, l’arrivo a Buenos Aires, la miniera, l’amore per Manuela, la professione di fotografo, le oscenità della dittatura di Allende: questa è la vita di colui che in Argentina chiamano “el nubero”, l’uomo delle nuvole. Trent’anni dopo Lazzaro ritorna a casa, per riappropriarsi dei propri legami e per fare giustizia, e solo ora conosceremo il suo “segreto”. Accompagnata dal ritmo del tango, illuminata dalle mille sfumature della vita stessa che sa virare dal rosso, al bianco, al nero più profondo, densa dei profumi di pietanze pugliesi e argentine, tutta la storia di Lazzaro Romano è un viaggio. Dentro noi stessi.