
A cura di Rosario Russo
Ciao Luigi, è un piacere poter intervistare uno scrittore del tuo calibro! Parlaci un po’ di te.
Grazie, il piacere è mio. Difficile vedersi dall’interno con lucidità e con occhio distaccato. Posso dire che sono essenzialmente una persona complessa, con alcuni punti fissi, alcune idee fondamentali. Queste riguardano l’aspetto estetico, un punto per me irrinunciabile. Saprei sacrificare qualunque cosa nella vita: ricchezza, prestigio, comodità. Ma non la bellezza. Ho improntato tutto in rapporto ad essa: i miei studi, le mie letture, la mia volontà di scrivere, i miei amori – e non ultimo quello per la città di Parigi, divenuta il mio principale riferimento esistenziale.
L’Uomo senza inverno è un’opera imponente ed elaborata nei minimi dettagli. Quanto è importante la progettazione narrativa? Come procedi di solito alla stesura di un romanzo?
Mi piace definirmi un “architetto” delle storie che scrivo, nel senso che l’aspetto strutturale e progettuale è per me a dir poco fondamentale, oltre che appassionante. L’arte è anche “artigianato” nell’accezione più alta del termine e ogni opera è anzitutto frutto di una volontà tenace, di studio, di ricerche, di riflessioni, di tecniche. E di tanto, tanto vissuto. Tanto dolore, aggiungerei, perché il dolore finisce per scavare dentro, facendoti andare in profondità alle cose che racconti. Naturalmente, tutto ciò sposa l’aspetto più misterioso, più irrazionale e profondo dell’atto creativo – quello della cosiddetta “ispirazione” – parola secondo me abusata, perché ha dato luogo a false mitologie e a non pochi superficiali fraintendimenti.
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