«Lucentini non esiste, l’ho inventato io! È un personaggio del tutto immaginario, non è mai esistito e del resto già circolava questa voce da tempo e non vedo perché adesso non si dovrebbe finalmente chiarire questo punto». Fruttero scherza con il giornalista durante una insidiosa intervista in cui è senza il suo socio, l’altra metà della Ditta.
Abbiamo scelto per la terza tappa del nostro viaggio un romanzo giallo che lo stesso Fruttero definisce: «Totale come l’Odissea».
A che punto è la notte
Un lavoro letterario che con le sue seicento pagine ha ingolfato le librerie alla fine degli anni ’70 e da quale, nel 1994, è stata tratta per la RAI una miniserie televisiva in due puntate, con il ritorno di Marcello Mastroianni nei panni dell’ispettore Salvatore Santamaria, Marie Laforêt nel ruolo di Chantal Guidi, Leo Gullotta in quello di Pirotti, Max von Sydow in quello dell’arcivescovo di Torino, Alessandro Haber interpreta l’ingegnere della FIAT Vicini, Renato Carpentieri quello di Don Alfonso Pezza, e ancora Angela Finocchiaro, Ennio Fantastichini. Ultima regia di Nanni Loy.
Aeroporto di Phoenix, Stati Uniti. Deva Wood, una ragazza italoamericana di ventitré anni, scompare misteriosamente subito dopo aver effettuato il checkin per un volo diretto in Italia. Dipendente dagli psicofarmaci sin dall’adolescenza, Deva è in fuga da un centro di riabilitazione che si occupa dei giovani figli di star del cinema. I ragazzi vivono in un ranch dell’Arizona dove per disintossicarsi seguono una terapia basata sulla cura dei cavalli. “Cresciuti all’ombra della fama dei loro genitori miliardari, questi ragazzi a diciotto anni hanno già sperimentato qualsiasi tipo di dipendenza: alcol, cocaina, anfetamine, psicofarmaci, interventi estetici e sesso compulsivo.” Ad aspettarla a Milano c’è David, figlio del fondatore del centro, con cui ha organizzato la fuga. I due ragazzi sono follemente innamorati e pronti a vivere insieme, ma Deva non arriverà mai all’appuntamento. Le ultime immagini di lei sono quelle delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto che la riprendono mentre si dirige in bagno con tracce di sangue sulle gambe. Il giorno dopo in un fiume vicino al ranch viene ritrovato il corpo di una giovane con il viso bruciato dall’acido… Alternando il racconto di carriere patinate a devastanti vicende personali, l’autrice apre uno squarcio sui risvolti segreti del mondo del cinema.
Leo ha sei anni. È nato sordo, ma la sua infanzia scorre serenamente. Con la sua famiglia, Leo parla la Lingua dei Segni, e quella degli affetti, che assumono forme inesplorate nei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna. Ma è giunto il tempo della scuola e Leo viene mandato lontano da casa, a Milano, in un istituto che accoglie bambini come lui. Siamo ai tempi in cui nelle scuole è vietato usare la Lingua dei Segni. All’improvviso per Leo la vita diventa incomprensibile, dentro un silenzio ancora più grande di quello che ha vissuto fino a quel momento. Poi, in una notte d’inverno del 1964, Leo scompare. A nulla servono le ricerche della polizia: di Leo non si ha più notizia. Diciannove anni dopo, nello studio della sorella Anna, si presenta Michele, un compagno di Leo ai tempi della scuola. E inizia a raccontare la sua storia, partendo da quella notte d’inverno.
Tre amici romani, Sebastiano (Alessandro Gassman), Moreno (Marco Giallini) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi), tentano di sbarcare il loro lunario proponendosi come guide turistiche di uno strano e “strepitoso” tour, alla scoperta dei luoghi legati alla famigerata banda della Magliana, un’associazione criminale sviluppatasi a Roma negli anni ‘80. I tre sono pronti per lanciarsi in questa impresa e a trasformare il tour in una macchina da soldi. Durante una pausa caffè, i tre amici, per sfuggire alle critiche del loro amico Gianfranco (Massimiliano Bruno), si infilano in un cunicolo spaziotemporale che li catapulta all’epoca in cui erano bambini: giugno 1982. L’anno dei Mondiali di calcio e il periodo più acceso e temibile della vera Banda della Magliana, che all’epoca gestiva le scommesse clandestine sulle partite di calcio.
L’ombra del vento è un romanzo pubblicato nel 2001 dall’autore spagnolo Carlos Ruiz Zafòn. Uscito in Spagna, diventa un vero caso editoriale, registrando otto milioni di copie vendute a livello mondiale.
Dramma, mystery, thriller e fiction gotica, L’ombra del vento narra di un segreto sepolto nel “cimitero dei libri dimenticati”, ubicato nella Barcellona di allora così tanto misteriosa, arcana ed enigmatica.
Protagonista del romanzo è Daniel Sempere, un ragazzo che fin dalla nascita si porta nel cuore la sofferenza di aver perso la propria mamma a causa del colera. Accompagnato da suo padre, che svolge l’attività da bibliotecario, viene portato in un incredibile luogo dove sono conservati tutti quei libri che vengono cancellati dall’oblio del tempo. In questo posto, nel cimitero dei libri dimenticati, Daniel è attratto da un libro: “l’ombra del Vento”, di Julian Carax. Promettendo al padre di custodire per sempre questo libro, Daniel si ritroverà ad affrontare la scoperta dell’enigmatico mistero: scoprire l’ignota identità di Julian.
Penelope si sveglia nella casa di uno sconosciuto, dopo l’ennesima notte sprecata. Va via silenziosa e solitaria, attraverso le strade livide dell’autunno milanese. Faceva il pubblico ministero, poi un misterioso incidente ha messo drammaticamente fine alla sua carriera. Un giorno si presenta da lei un uomo che è stato indagato per l’omicidio della moglie. Il procedimento si è concluso con l’archiviazione ma non ha cancellato i terribili sospetti da cui era sorto. L’uomo le chiede di occuparsi del caso, per recuperare l’onore perduto, per sapere cosa rispondere alla sua bambina quando, diventata grande, chiederà della madre. Penelope, dopo un iniziale rifiuto, si lascia convincere dall’insistenza di un suo vecchio amico, cronista di nera. Comincia così un’appassionante investigazione che si snoda fra vie sconosciute della città e ricordi di una vita che non torna. Con questo romanzo – ritmato da una scrittura che non lascia scampo – Gianrico Carofiglio ci consegna una figura femminile dai tratti epici. Una donna durissima e fragile, carica di rabbia e di dolente umanità. Un personaggio che rimane a lungo nel cuore, ben oltre l’ultima pagina del sorprendente finale.
Alessandro è un affascinante medico trentenne dal carattere schivo che lavora con le tossicodipendenze e vive un rapporto difficile con l’altro sesso, complici l’educazione severa della madre, morta alcuni anni prima e del cui pesante ricordo non si è mai liberato, e l’assenza costante del padre. L’incontro casuale con Sarah, ballerina dal carattere volubile e incostante, dai tratti borderline, incapace di vivere una relazione monogama, segnerà in maniera indelebile Alessandro, che si innamorerà di lei in maniera in maniera ossessiva e malata. Un giorno all’improvviso Sarah svanisce nel nulla e Alessandro rimane vittima di un tragico incidente nel tentativo di inseguire il suo fantasma. Negli anni successivi la vita di Alessandro sembra apparentemente rientrare nei binari della serenità, fino al giorno in cui, molti anni dopo la fatidica sparizione della ragazza, la ritroverà per caso, facendo però una terribile scoperta. In un finale intenso e drammatico, Alessandro prenderà una decisione inaspettata e imprevedibile, che cambierà il corso della vita di tutti.
A soli tredici anni Dita viene deportata ad Auschwitz insieme alla madre e rinchiusa nel settore denominato Campo per famiglie (tenuto in piedi dalle SS per dimostrare al resto del mondo che quello non fosse un campo di sterminio): quello che conteneva il Blocco 31, supervisionato dal famigerato “Angelo della morte”, il dottor Mengele. Qui Dita accetta di prendersi cura di alcuni libri contrabbandati dai prigionieri. Si tratta di un incarico pericoloso, perché gli aguzzini delle SS non esiterebbero a punirla duramente, una volta scoperta. Dita descrive con parole di una straordinaria forza e senza mezzi termini le condizioni dei campi di concentramento, i soprusi, la paura e le prevaricazioni a cui erano sottoposti tutti i giorni gli internati. Racconta di come decise di diventare la custode di pochi preziosissimi libri: uno straordinario simbolo di speranza, nel momento più buio dell’umanità. Bellissime e commoventi, infine, le pagine sulla liberazione dei campi e del suo incontro casuale con Otto B Kraus, divenuto suo marito dopo la guerra. Parte della storia di Dita è stata raccontata in forma romanzata nel bestseller internazionale “La biblioteca più piccola del mondo”, di Antonio Iturbe, ma finalmente possiamo conoscerla per intero, dalla sua vera voce. La vera storia di Dita Kraus, la giovanissima bibliotecaria di Auschwitz, diventata un simbolo della ribellione, finalmente raccontata da lei stessa.
Recensione di Giampaolo Pierno
La vera storia di una vita che ha come scenario una delle piaghe dell’umanità, anzi della disumanità, rivive tra le pagine di questa biografia. L’uomo di questi eventi tragici ne fa ancora argomento, nella perenne ricerca di una purificazione dalle nefandezze che per troppo tempo hanno contraddistinto uno dei periodi più bui della nostra esistenza. Un ulteriore racconto su argomenti che fanno ormai parte del nostro DNA. L’opera, pur nello sgomento della realtà che le parole hanno reso immagini di cui mi sono sentito testimone, è arrivata in fondo all’anima e al cuore, infondendo un sentimento che non avevo mai provato: quello di una disperata speranza. Quella che diviene forza e non abbandono e che fa cercare un’ancora di salvezza, proprio quando sofferenza e disperazione fanno apparire la morte come una liberazione. La Kraus ci conduce, con stile che non concede spazio ad autocommiserazione, per mano, a conoscere la sua drammatica esistenza, senza risparmiare la descrizione delle brutture che ha patito e di cui è stata testimone. Si prova pietà e incredulità di fronte alla brutalità, ma la sua esposizione degli eventi non provoca angoscia che non vorremmo leggere. Ebrea nata a Praga e attualmente residente in Israele la Kraus è una dei pochi sopravvissuti ai campi di sterminio. Dita a 14 anni si trovò a svolgere il ruolo di bibliotecaria dopo la deportazione ad Auschwitz. Nel dicembre 1943, infatti, i capi delle SS decisero di aprire una sezione speciale all’interno del campo nella quale le condizioni di vita sembrassero migliori, per poter mascherare agli occhi del mondo e delle organizzazioni umanitarie che le notizie riguardanti Auschwitz non erano veritiere. Quel campo di sofferenza e morte, ove, oltre ai famigerati forni, si soccombeva, per fame e malattie, era, infatti, l’unico in cui vi erano
molti bambini e per loro i nazisti avevano predisposto il blocco 31 un luogo che sembrasse normale durante i sopraluoghi della Croce Rossa. Lì nacque una scuola clandestina, in cui i bambini studiavano mentre i genitori lavoravano. Il blocco venne dotato di alcuni libri, requisiti ai prigionieri e poi comprati al mercato nero interno al campo. Dita custodiva 8 libri che ogni giorno faceva girare tra i bambini. Non era molto, ma erano libri, simbolo di un tempo meno oscuro in cui “le parole suonavano più forti delle mitragliatrici”. Questo angolo di luce, tra le tenebre che aleggiavano nel campo, era destinato a scurirsi Nel luglio 1944 infatti i prigionieri del blocco 31 vennero inviati alle camere a gas o deportati al campo di Bergen-Belsen. Dita rientrò in quest’ultimo gruppo, ma dovette lasciare ad Auschwitz i libri della sua piccola biblioteca. Una storia che coinvolge fino all’ultima pagina e commuove, con splendida narrazione di quelle migliaia di storie, di quelle migliaia di vite che l’empia crudeltà ha spazzato via come fossero animali da macello, elevandoli, tuttavia, all’eternità nella memoria umana. Un libro di cui consiglio la lettura e le cui pagine, oltre che con gli occhi vanno lette con il cuore.
“Occhio per occhio, dente per dente” è la regola del serial killer che ha deciso di riparare i torti del sistema giudiziario. Dove non arrivano le giurie, arriva lui, rapendo, torturando ed eliminando i criminali che l’hanno fatta franca. Indossa una maschera dai tratti demoniaci, e si fa annunciare ogni volta da un video intitolato “La Legge sei tu” in cui chiede alla gente di pronunciarsi in giudizio tramite votazioni anonime e irrintracciabili. A colpi di clic il richiamo alla giustizia sommaria diventa virale. Vendicatore spietato come il conte di Montecristo, villain incendiario al pari del Joker che sollevò Gotham City, il Giustiziere gioca la sua partita mortale. L’indagine sul caso che sta scuotendo l’Italia è affidata al vicequestore Vito Strega, esperto di psicologia e filosofia, tormentato criminologo dall’intuito infallibile, avvezzo alla seduzione del Male. Lo affiancano le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce. Diverse come il giorno e la notte, le due formano una coppia d’eccezione: i modi bruschi e l’impulsività di Mara sono compensati dall’acutezza e dal riserbo sfuggente di Eva. Tra la Sardegna e Milano, i tre poliziotti dovranno mettere in gioco tutto per affrontare un imprendibile nemico dai mille volti e misurarsi ciascuno con i fantasmi del proprio passato.
Un crimine spaventoso sconvolge una quieta cittadina nel Sud della Catalogna: i proprietari dell’azienda più importante della zona, le Gráficas Adell, vengono trovati morti, con segni evidenti di feroci torture. Il caso è assegnato a Melchor Marín, giovane poliziotto e appassionato lettore, alle spalle un passato oscuro e un atto di eroismo quasi involontario, che lo ha fatto diventare la leggenda del corpo e lo ha costretto a lasciare Barcellona. Stabilitosi in questa piccola regione dal nome evocativo di Terra Alta, crede di aver seppellito l’odio e la voglia di riscatto sotto una vita felice, grazie all’amore di Olga, la bibliotecaria del paese, dalla quale ha avuto una figlia, Cosette. Lo stesso nome della figlia di Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, il suo romanzo preferito. L’indagine si dipana a ritmo serrato, coinvolgendo temi come il conflitto tra giustizia formale e giustizia sostanziale, tra rispetto della legge e legittimità della vendetta. Ma soprattutto Javier Cercas, l’autore di libri memorabili come Soldati di Salamina, Anatomia di un istante, L’impostore, racconta l’epopea di un uomo solo che cerca il suo posto nel mondo, e per questo dovrà lottare e mettere a rischio tutto: i valori, gli affetti, la famiglia, la vita. Una narrazione di assoluta tensione psicologica e morale, che diventa romanzo totale.