Intervista a cura di Marika Mendolia e Dario Brunetti
MM, DB- Diamo un caloroso benvenuto su Giallo e Cucina a Luana Troncanetti, col suo ultimo romanzo La cuoca – Storia di un terremoto e partiamo subito con la prima domanda. La pregnante tematica da te affrontata ripercorre intensamente un tragico evento distruttivo: il terremoto del 1997 sull’Appennino umbro-marchigiano; cosa ha spinto profondamente a trattare tale argomento?
Bentrovati, grazie per l’invito a parlarvi di un romanzo che nasce dall’essere una terremotata per vie traverse. Il mio dolore è imparagonabile a quello di chi ha perso la sua unica casa, il lavoro, ogni punto di riferimento. Ho cercato di raccontare la pena di chi vive in certi territori in una storia breve che si legge in un soffio, l’ho scritta con la stessa furia dell’evento che mi ha spinta a concepirla.
Sono nata a Roma come mio padre ma i suoi genitori erano originari di due paesini in provincia di Macerata. I luoghi che nomino nel romanzo, Camerino in particolar modo, rappresentano la mia seconda terra. Ho passatotutte le mie estati in quei territori vivendo, nel 1979, il primo terremoto sulla mia pelle: quello che devastò l’Umbria, Norcia in particolar modo. In linea d’aria, la zona nel maceratese dove trascorrevo le vacanze era vicinissima. L’esperienza mi ha traumatizzata per decenni.
Nelle Marche ci sono le mie radici, i parenti, gli amici d’infanzia. C’erano anche due case che mio padre aveva ristrutturato con amore e fatica, recuperando materiali antichi come le greppie delle vacche; riuscì a trasformarle in mobili rustici pur non essendo un falegname, solo per raccontartene una. Lui chiedeva a chi di mestiere come si facesse, osservavae replicava alcune arti. Aveva una manualità incredibile.
Vedere tutti i nostri ricordi e il suo lavoro seppellito dai calcinacci, appena ci hanno autorizzati a entrare in quelle abitazioni per recuperare il poco possibile, visitare i territori feriti a pochi mesi dal disastro, ascoltare successivamente i racconti di chi è rimasto lì a combattere una guerra ancora irrisolta: la somma di tutto ciò mi ha spinta a concepire una storia in cui i terremoti sono soprattutto quelli dell’anima.
DB- Nunzia 77 anni la cuoca e Clara 50 anni cardiologa ci parli di queste due straordinarie protagoniste?
Ti ringrazio di cuore, Dario, ma non sono poi così straordinarie. Credo che la loro forza consista invece nell’incarnare il consueto. Sono costrette a ricostruirsi in mezzo alle macerie nonostante tutto e tutti, il mondo è pieno di Clara e Nunzia. Ciò che mi ha inorgoglito dei tanti riscontri di lettura sono stati i messaggi privati di donne che si sono riconosciute in alcune loro esperienze. Sembrano vive, queste mie due donne di carta, non personaggi di un romanzo. Così mi è stato detto, e non ti nascondo che questa suggestione di incontro tangibile con i lettori (fra i quali diversi uomini) mi commuove molto.
MM- Potresti descriverci come si è evoluto man mano empaticamente il rapporto che ha instaurato in prima persona con la protagonista principale della sua opera?
È stata un’empatia fulminea, Marika. Nunzia non mi ha concesso il tempo di conoscerla, aveva “prescia” di confessarmi i suoi peccati. D’altronde (sorrido) lei sta per morire, no? “Nun c’ho tempo da perde, cocca!”, ha strillato e questo, credimi, dipinge bene il pragmatismo marchigiano. Ha una voce forte, è quella che mi ha raccontato ogni avvenimento, suggerito un finale insolitomentre stavo ancora scrivendo l’incipit, detto tutto di Clara e delle altre donne del romanzo. Non ho avuto modo o bisogno di inventare, progettare, pensare. Ho scritto sotto dettatura, di solito mi succede soltanto nei racconti di poche cartelle.