a cura di Luigi Guicciardi
Stavolta è quanto mai d’obbligo una premessa. Pur scrittrice di romanzi polizieschi, Mary Roberts Rinehart in realtà non lo è mai stata completamente, come precisano giustamente Franco Fossati e Roberto Di Vanni nella loro utilissima Guida al “giallo” del 1980. Infatti, a prescindere dalle dichiarazioni programmatiche rilasciate dalla stessa autrice (che in un’intervista confessò di riservare la maggiore attenzione, nei suoi gialli, “ai personaggi e alle loro motivazioni ad agire”), con lei ci muoviamo in un territorio di prepotente contaminazione.
Benché scritte in un periodo in cui le linee discriminanti fra un tipo di letteratura poliziesca “colto” e uno “popolare” erano praticamente scomparse, le opere della Rinehart continuano a muoversi in un’orbita quasi ottocentesca, perlomeno dal punto di vista dei meccanismi narrativi e della trama, anche se l’ambientazione e in parte lo stile hanno perso quel sapore un po’ vittoriano proprio di molta parte della produzione di fine Ottocento. Occorre inoltre ricordare che la Rinehart fu anche prolifica scrittrice di romanzi western, rosa, umoristici, di viaggio e di guerra, e fu addirittura corrispondente di guerra in Europa, oltre che autrice di lavori teatrali e di un’autobiografia (My Story, 1931; nuova edizione, 1948): tutto questo a testimonianza di una vena letteraria assai poliedrica, anche se per molti versi un po’ approssimativa.
Ma andiamo con ordine. Mary Ella Roberts, nata ad Allegheny City in Pennsylvania il 12 agosto 1876, a soli quindici anni cominciò a scrivere racconti, pubblicandone tre su un periodico locale. Terminate le scuole superiori, si iscrisse alla scuola per infermiere (Training School for Nurses) presso l’Homeopathic Hospital di Pittsburgh, dove si diplomò nel 1896, un anno dopo aver sposato Stanley Marshall Rinehart, un giovane medico conosciuto alla Training School, con cui ebbe tre figli: Stanley Jr (1897), Alan (1900) e Frederick, detto Ted (1902). La raggiunta serenità dovette consolare per un breve periodo la Rinehart dai dolori della sua vita famigliare precedente: il padre infatti, Thomas B. Roberts, un inventore geniale ma privo di senso pratico, si era suicidato, e la madre Cornelia, rimasta paralizzata in seguito allo shock, era morta a causa di gravi ustioni provocate da acqua bollente.
Tuttavia un gravissimo tracollo finanziario, subito nel 1903 dalla nuova famiglia (la perdita, pare, di 12.000 dollari), indusse la dinamica Mary a tentare la strada della narrativa: inviò un racconto al periodico “Munsey’s Magazine”, che lo acquistò per 34 dollari. Allora, incoraggiata da questo primo consenso, pubblicò nel giro di un anno più di quaranta racconti brevi, la cui buona accoglienza la spinse quasi subito a cimentarsi anche nel romanzo. Nacquero così The man in Lower Ten, 1906 (Lo sconosciuto del vagone letto, Mondadori 1989; L’uomo nella cuccetta n. 10, Polillo 2003) e soprattutto il celebratissimo The Circular Staircase, 1908 (La scala a chiocciola), beneficiato da numerose edizioni italiane: Mondadori 1935, 1974, 1989, 1991; Newton, 1994, 2004; Polillo 2008; TEA, 2016.
A proposito del quale, non sarà inutile aprire una parentesi e avvertire che il celebre e omonimo film del 1945, La scala a chiocciola, di Robert Siodmak (intitolato però, in originale, The Spiral Staircase) non ha nulla a che vedere col romanzo della Rinehart, essendo stato tratto dal giallo Some Must Watch di Ethel Lina White. Dalla nostra Scala a chiocciola, invece, fu ricavato un film muto già nel 1915, e nel 1920 la stessa Rinehart ne fece una versione teatrale di successo, sfruttando l’elemento architettonico della scala a chiocciola come simbolo – nell’immaginario collettivo – di paura o di mistero. La struttura circolare conduce in fatti la protagonista della storia (e il lettore), rampa dopo rampa, e interrogativo dopo interrogativo, alla soluzione finale, in anticipo pionieristico su certi intrecci di Agatha Christie.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale, la Rinehart non esitò a lasciare temporaneamente la letteratura per dedicarsi al giornalismo. Tra le prime donne al mondo a rivestire questo ruolo, dal 1915 fu corrispondente di guerra per il “Saturday Evening Post” (per il quale intervistò Winston Churchill e il re del Belgio Alberto I), ritornando ancora, nel 1918, sul fronte europeo per conto del governo degli Stati Uniti. Terminato il conflitto, la scrittrice si trasferì nel 1921 con la sua famiglia a Washington D.C., inserendosi vivacemente nella vita culturale, sociale e politica della capitale federale, dove due dei suoi figli, Stanley Jr e Ted (con un terzo socio, John Chipman Farrar), fondarono nel 1929 la poi celeberrima casa editrice Farrar & Rinehart (che divenne in seguito Rinehart & Company, ed è attiva ancor oggi come Holt, Rinehart & Winston).
Dopo la morte del marito, Stanley Marshall, avvenuta nel 1932, la scrittrice nel 1934 fu colpita da un infarto, e allora si trasferì l’anno seguente a New York, acquistando poi una vasta proprietà nel Maine nella quale andò definitivamente ad abitare nel 1939, continuando con ottimi esiti la propria attività. Nel 1958, infine, la Rinehart, dopo una lunga battaglia contro un tumore al seno (che lei stessa volle rendere pubblica con una serie di articoli), fu colpita nella sua casa di Park Avenue a New York da un nuovo, grave infarto che la stroncò il 22 settembre.
Autrice di straordinario successo all’epoca, la Rinehart risulta letta e studiata ancor oggi. Nel 1980 Jan Cohn ha pubblicato la sua biografia definitiva, Improbable Fiction: The Life of Mary Roberts Rinehart, ristampata nel 2005. Nel 1994 è uscita una seconda biografia, Had She But Known, scritta da Charlotte MacLeod, nota autrice di polizieschi per ragazzi. Molti suoi romanzi, inoltre, sono disponibili per il pubblico italiano, tradotti in prevalenza nei Gialli Mondadori [M], ma anche da Polillo [P] nella collana I Bassotti, o da Newton [N] (nella collana economica La Compagnia del Giallo). Oltre ai primi, Lo sconosciuto del vagone letto e La scala a chiocciola, già citati, segnaliamo:
– The Window at the White Cat, 1910 (La finestra sulla notte, M, 1937, 2005; P, 2014);
– The Amazing Adventures of Letitia Carberry, 1911 (Le straordinarie avventure di Letitia Carberry, N, 1995);
– The Case of Jennie Brice, 1913 (La moglie dell’attore, M, 1953, 1976; Il caso Jennie Brice, N, 1994);
– Street of Seven Stars, 1914 (Via delle stelle, Cino Del Duca, 1975);
The After House, 1914 (Vele insanguinate, M, 1936, 1949; Morte sul castello di poppa, N, 1993);
– Long live the King, 1917 (Lunga vita al re! N, 1995);
– The Door, 1930 (L’incubo, M, 1937, 1973, 2007);
– Miss Pinkerton, edito anche come Double Alibi, 1932 (Il nemico sconosciuto, M, 1934, 1977, 1998);
– The Album, 1933 (Il segreto dell’album, M, 1934);
– The State Vs Elinor Norton, 1933 (Io ti difendo! M, 1935, 1975);
– The Wall, 1938 (I muri parlano, 1939, 1985);
– The Great Mistake, 1940 (L’avventura di Patrizia, M, 1941, 1967; Il grande errore, M, 2001);
– The Haunted Lady, 1942 (Il pipistrello, M, 1949, 1987);
– Alibi for Isabel and Other Stories, 1944 (Il rossetto e altri racconti, M, 2002, 2016);
– The Yellow Room, 1945 (La camera gialla, M, 1949, 1959, 1999);
– The Swimming Pool, 1952 (L’inferno, M, 1952, 1976)
Va rilevato infine che nell’anno di grazia 1953 l’editore Mondadori ripropose ben sei romanzi della Rinehart, raccolti in due volumi: Tre volti della morte (contenente L’incubo, Il nemico sconosciuto, Il segreto dell’album) e Sinfonia in giallo e nero (comprendente L’avventura di Patrizia, I muri parlano, La moglie dell’attore).
La Rinehart ha anticipato molti temi della letteratura poliziesca del Novecento, che altri scrittori avrebbero saputo sviluppare in seguito con maggior lucidità o capacità innovative, e la sua influenza sulla narrativa popolare degli anni ’20 e ’30 appare notevole, dato anche il suo enorme successo di vendite, fornendo per esempio ispirazione ai racconti del giovane Francis Scott Fitzgerald. Ancor oggi le si riconosce una discreta capacità di miscelare il plot poliziesco con il ritratto psicologico dei personaggi, e la sua scrittura – non eccelsa e fortemente datata – si fa però ancora leggere, nonostante talvolta una tonalità rosa che può dispiacere.
Forse un po’ troppo severo risulta in definitiva il giudizio del competentissimo duo Di Vanni-Fossati: “i romanzi della Rinehart si presentano ai nostri occhi come opere per lo più dilatate e dal respiro ampio ma troppo spesso farraginoso, intaccate da forti squilibri e da disuguaglianze espressive. Essi soffrono in special modo di monotonia di temi (storie di famiglie ricche ma in decadenza, complesso intrigo di rapporti parentali, ecc.) e dell’incapacità di esprimere con vigore e penetrazione i risvolti drammatici chiamati a dare corpo alla vicenda. La via del fantastico le è totalmente preclusa e i personaggi sono costruiti con colorature introspettive quasi sempre goffe e pretenziose.”
Scritti quasi tutti in prima persona, i gialli della Rinehart appaiono narrati perlopiù da figure femminili vinte dal gioco delle passioni e degli interessi e capaci solo di patetici sussulti emotivi, come Elizabeth Bell, la protagonista de L’incubo (The Door, 1930) che molti considerano il suo capolavoro. In ogni caso, di là dalla sua mediocrità stilistica, l’importanza della Rinehart consiste nell’aver dato origine a un certo tipo di romanzo poliziesco tipicamente “femminile”, che troverà altra linfa nei libri di autrici successive come Mignon G. Eberhart, Kay Strahan, Dorothy Cameron Disney e Mabel Seeley. E nell’Encyclopedia of Mystery and Detection, compilata nel 1976 da Chris Steinbrunner e Otto Penzler, questo genere di romanzo giallo è stato classificato sotto la curiosa voce di Had-I-but-Known School: romanzi in cui un’eroina rivive retrospettivamente la vicenda oggetto della narrazione con le cognizioni di cui allora non era in possesso e che avrebbero potuto evitare l’evolversi del dramma (da cui la formula iniziale Se avessi saputo allora quello che so adesso…).
Come detto, il cinema cominciò a occuparsi della Rinehart già nel 1915, con una versione del celebre The Circular Staircase. Anche il dramma teatrale The Bat – scritto nel 1920 con Avery Hopwood, autore di successo a Broadway negli anni del jazz – fu portato tre volte sullo schermo; nel 1926 e nel 1930 per la regia di Roland West (The Bat e The Bat Whispers), e nel 1959, ben fuori dal muto. Quest’ultima versione, diretta da Crane Wilbur e interpretata da Agnes Moorehead e dal grande Vincent Price, uscì in Italia col titolo Il mostro che uccide e presenta una trama tuttora godibile, con un gruppo di amici impegnati a cercare un bottino nascosto in una casa di campagna isolata, mentre un pluriomicida misterioso chiamato “il pipistrello” li uccide uno alla volta…
Anche il cinema muto, s’è visto, saccheggiò la narrativa della Rinehart: ricordiamo, già nel 1915, What Happened to Father, diretto da C.J. Williams, e The Cave on Thunder Cloud, diretto da E.H. Calvert; nel 1918, Her Country First, per la regia di James Young; l’anno dopo, Twenty-Three and a Half Hours’ Leave, diretto da Henry King, da un racconto pubblicato su “The Saturday Evening Post”; nel 1920, Dangerous Days, con la regia di Reginald Barker, e It’s a Great Life, diretto da E. Mason Hopper, dal racconto Empire Builders apparso sul “Saturday” del 20/05/1916; nel 1924, Her Love Story, per la regia di Allan Dwan; nel 1927, A Flame in the Sky, in collaborazione con Ewart Anderson.
Pure il giallo Miss Pinkerton del 1932 ebbe due versioni cinematografiche: una prima, omonima, diretta nello stesso 1932 da Lloyd Bacon, e una seconda posteriore di nove anni e realizzata da Noel Smith. La televisione americana trasmise nel 1953 la versione teatrale di The Bat, che fu poi nuovamente ridotto per il piccolo schermo nel 1960, mentre sempre nel 1953 la CBS-TV produsse una versione televisiva di The Circular Staircase.