Ragione da vendere – Enrico Pandiani

Trama

Parigi non è un posto tranquillo. E Les Italiens, i flic del commissario Pierre Mordenti, lo sanno bene. Ad alzare la temperatura, oltre alla canicola provvede il piombo dei fucili mitragliatori e così anche una placida notte di fine agosto può trasformarsi in bagarre. È quello che capita a Pierre e al collega Alain Servandoni, coinvolti per caso nell’assalto a mano armata a un furgone. Di colpo la quiete estiva va in frantumi e i “maledetti italiani” si trovano risucchiati in una caccia senza quartiere a una preziosa opera d’arte scomparsa nel nulla. Sono della partita anche un equivoco poliziotto inglese, uno spregiudicato ricettatore vietnamita e una femme fatale perfida e manipolatrice. In un inestricabile gioco di menzogne, tutti sono disposti a tutto pur di far valere le proprie ragioni e arraffare il tesoro. Mentre Mordenti cerca di preservare la relazione con Tristane Le Normand, figlia del gran capo della Crim, la ricerca dell’antico manufatto prende una piega inattesa, costringendo i cacciatori a rischiare quello a cui tengono di più. Enrico Pandiani mette i suoi personaggi davanti al bivio della scelta, e della tentazione. Perché se è vero che ogni uomo ha il suo prezzo, allora quello che conta è rimanere fedeli a se stessi.

Voce di Roberto Roganti

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Oggi parliamo con… Marvin Menini

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Intervista a cura di Paola Varalli

Ciao Paola, e grazie dell’invito a fare questa chiacchierata.

Ciao Marvin, è un piacere chiacchierare con te.

Ma iniziamo con le domande: durante una tua recente presentazione hai affermato che non lavori seguendo una scaletta, ma la storia nasce mentre la scrivi, dunque tu non sai come va a finire? Fino a che punto del libro questo avviene, di solito?

E’ proprio così. Come dico spesso, se sapessi in anticipo come finiscono le storie che scrivo mi divertirei molto meno a farlo. Anzi, forse non scriverei proprio. Spesso parto da una scena iniziale e basta. Talvolta ho anche un “flash” del finale ma tutto quello che c’è in mezzo lo creo al momento. Di solito scopro chi è l’assassino a metà romanzo, a volte anche dopo.

 

Parti quindi da una idea, da uno spunto o piuttosto dalla definizione di alcuni personaggi che poi costruiranno la storia?

Prima vengono i personaggi, il loro modo di parlare vestirsi comportarsi. I loro tic e le loro piccole o grandi manie. Più il personaggio è ben caratterizzato nella mia testa più è in grado di muoversi da solo nella storia. Io sono solo testimone delle loro azioni, mi limito a trascriverle.

 

Ho apprezzato molto “I delitti dei caruggi”, il tuo penultimo noir, anche per la tua scrittura ironica. Ho notato, da alcune tue risposte in altra sede, che la vena ironica  è parte del tuo modo di esprimerti, così lo trasmetti anche nella scrittura, è naturale trasposizione della lingua parlata in quella scritta o c’è uno studio sotto?

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Io mi reputo una persona ironica e autoironica. Non potrei scrivere altrimenti. Prendere la vita con una buona dose di ironia è parte del mio DNA, credo sia l’unico modo per affrontare le piccole e le grandi traversie dell’esistenza. Ciascuno di noi quando scrive segue la propria voce interiore, la voce narrativa che ci creiamo scrivendo sempre di più. Non c’è uno studio dietro. E’ la semplice conseguenza del mio modo di essere.

 

Tu sei medico, Il tuo protagonista è un giornalista, Ciò nonostante mi chiedo: quanto c’è di te in lui, in Matteo De Foresta?

Abbastanza e poco allo stesso tempo. Come ti ho già detto, Matteo condivide con me la vena ironica. Ma lui è molto più intraprendente e coraggioso di me. In comune abbiamo anche la curiosità. Solo che la mia mi porta in sala operatoria ad operare, la sua in mezzo a qualche guaio ben più grosso. Per il resto siamo diversi. Lui, ad esempio, gira in Vespa e gioca a calcio. Io a calcio sono negato e le moto le detesto e mi fanno paura.

 

La scelta della prima persona e del tempo presente hanno per te una funzione speciale?

Mi è venuta così. Crea immediatezza e dona ritmo alla storia. E poi tutto è raccontato con gli occhi di Matteo. In presa diretta, senza filtri. Non è lui che ricorda qualcosa. I ricordi confondono gli eventi, nella nostra mente arricchiamo il nostro vissuto con sensazioni e impressioni che distorcono i fatti. E poi Matteo è un giornalista. Il presente indicativo è coerente con la sua professione..

 

Nel tuo romanzo c’è attenzione al sociale, c’è empatia con gli ’’ultimi’’: vuoi trasmettere un messaggio o è solo inevitabile proiezione della  tua personale sensibilità di scrittore?

Un po’ e un po’. Il noir, il giallo, sono anche strumenti di denuncia. E’ lettura di svago ma è altrettanto giusto inserire, senza appesantire la storia, qualche elemento concreto che ci inviti a riflettere o a prendere una posizione. I lettori non devono per forza condividere le opinioni di Matteo. Possono anche, ad esempio, sposare la visione del vicequestore Rocchetti, che è opposta rispetto al protagonista.

 

Il vice questore Rocchetti, contraltare di Matteo Foresta, è un personaggio fortemente caratteristico, si esprime con tinte cariche, esasperato dall’amico che si ficca nei guai in quanto “formica curiosa”. Questa caratterizzazione è per te funzionale alla narrazione?

Assolutamente sì. Rocchetti è un buono ma è grezzo. Così deve essere. Anzi: gli piace passare per un uomo rude e volgare. Perché in realtà non è così. La sua caratterizzazione è funzionale alla storia perché è grazie al lui che Matteo esce dai guai. E poi i loro dialoghi mi fanno morire dal ridere. Non ci sarebbero i loro scambi pungenti senza questa caratterizzazione di Guido.

Stai scrivendo il prossimo? Puoi darci qualche anticipazione?

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E’ appena uscito “I Morti non parlano”, la quarta avventura di Matteo De Foresta, sempre edito da Fratelli Frilli. Sto già lavorando al quinto. Inizia con Matteo che ha una colica biliare e viene ricoverato in ospedale. E lì farà una conoscenza pericolosa… Ma basta! Ti ho già detto troppo! Nel mentre sto lavorando a un nuovo personaggio e a un romanzo diverso. Non un giallo ma un thriller storico-esoterico.

 

Ci piacerebbe conoscere la ricetta del tuo piatto preferito, ce la racconti?

Il mio piatto preferito è lo stoccafisso in umido alla genovese. Consiglio di seguire la ricetta tradizionale con qualche accortezza. Primo, spellate lo stoccafisso. Secondo, le patate vanno tagliate rigorosamente in quattro e non a pezzetti. Terzo, nel soffritto aggiungete l’acciuga e non dimenticate i funghi secchi!

 

Grazie Marvin, a presto… con il tuo prossimo lavoro!