I MAESTRI DEL GIALLO : EDGAR WALLACE

A cura di Luigi Guicciardi

 

EDGAR WALLACE

Richard Horatio Edgar Wallace, nato il 1° aprile del 1875 a Greenwich-Londra, figlio illegittimo di una ballerina e di un attore, tale G. Freeman, fu adottato da un pescivendolo che aveva già molti figli. Lasciata la scuola a dodici anni, cominciò a lavorare come strillone, venditore ambulante, calzolaio, fattorino; fu, quindi, autodidatta. A diciott’anni si arruolò nell’esercito e fu destinato al servizio sanitario nel Sudafrica, ma riuscì a farsi congedare prima dello scoppio delle ostilità con i Boeri. Corrispondente di guerra per l’agenzia di stampa Reuter, entrò poi al “Daily Mail”, dove iniziò di fatto la sua carriera giornalistica.

L’urgenza di maggiori guadagni, tuttavia, indusse Wallace a tentare la strada di quella che allora, in Inghilterra, veniva chiamata “letteratura popolare”. Così, all’età di trent’anni, esordì con I Quattro Giusti (The Four Just Men, 1905), forse l’opera prima di maggior successo di pubblico nel mondo, che diede il via a un’eccezionale carriera produttiva. Da allora infatti, in meno di 27 anni (fino alla morte a Hollywood), Wallace si calcola che produsse più di 170 romanzi e almeno 15 drammi, a una media di oltre 7 opere all’anno (senza contare l’attività giornalistica, i reportage, le conferenze), tanto che si malignò a più riprese che lui abusasse di “negri” (oggi ghost-writers) e si limitasse ad apporre la sua firma su testi scritti da altri. Maldicenza, questa, a cui Wallace rispose pubblicamente offrendo ben mille sterline a chiunque avesse offerto prove della sua disonestà: somma che però “nessuno si presentò mai a riscuotere” (Benvenuti-Rizzoni, Il romanzo giallo, Milano, Mondadori, 1979).

Secondo il Guinness dei primati, Wallace – che contenderebbe a Simenon il primato del numero di opere scritte – fu anche uno degli scrittori più veloci: si dice che cominciò una sua commedia (On the Spot, 1931) un venerdì, e la terminò per l’ora di pranzo della domenica dopo. E il minor tempo che impiegò a scrivere un romanzo fu con Il mistero delle tre querce (The Three Oaks Mystery), che iniziò un martedì e consegnò al suo editore il venerdì seguente.

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La belva nel labirinto – Hans Tuzzi

Trama

Un serial killer si aggira per le strade di una Milano , uccidendo persone apparentemente slegate tra loro e lasciando sui cadaveri delle carte dei Tarocchi, degli Arcani.

È un venerdì notte quando il vicequestore Norberto Melis e il brigadiere d’Aiuto ricevono la segnalazione del cadavere di un ragazzo, “attinto” da quattro colpi di pistola all’interno di una Audi 80 nera. Glauco Stracuzzi, figlio unico di una famiglia benestante, studente di Ingegneria. Accanto al cadavere una carta, un Arcano dei tarocchi contrassegnato da due M e l’annotazione di quella che sembra una data. E non finisce qui, perché nel bagagliaio della stessa macchina c’è il corpo di una donna uccisa dopo essere stata seviziata. Qualche tempo prima qualcun altro è stato assassinato e abbandonato: un prete di periferia, don Albino Tomat e, un travestito di mezz’età, Carmen (al secolo Carmine Grieco). C’è una pista esoterica? Così si potrebbe sospettare, stando ai libri e alla poesia di Hitler trovati nella stanza dell’uomo ucciso in macchina e all’ombra dei deliri occultistici del neonazismo che si va profilando.

Persone che non si conoscevano o, quantomeno, che vivevano in contesti ben separati, uccisi in modi diversi e i cui cadaveri sono stati ritrovati in luoghi diversi di Milano.

Le indagini seguono anche il filone dei travestiti, gli amici di Carmen: uomini di mezza età, uomini di giorno e donne appariscenti di notte e che, proprio per questo particolare, riscuotono un certo successo nel settore. Tutti quei padri di famiglia che, senza la moglie tra i piedi, hanno bisogno di qualcuno con cui sfogare i propri bisogni fisici.

L’inchiesta diventa una sfida quasi personale, perché le morti si susseguono assieme alle prime accuse contro la polizia e sulla squadra di Melis, accusati dopo settimane, non hanno raggiunto alcun risultato.

Nonostante gli sforzi, Melis e i suoi uomini non vanno oltre le ipotesi, ogni strada percorsa diventa un vicolo cieco.

Solo dopo aver portato alla luce alcuni segreti, inseguendo tracce che si riveleranno, tutto sommato, ininfluenti per la sua indagine, Melis arriverà al colpevole, in un finale molto amaro e per nulla catartico.

“Quale filo invisibile lega fra loro un sacerdote di frontiera, un travestito di mezza età e un brillante studente universitario nella cui auto giace cadavere una ragazza? E le altre vittime dell’anonima mano omicida che nell’estate del 1987 nelle vie di Milano porta la morte, annunciata dai beffardi e inquietanti Arcani dei tarocchi?

Voce di Roberto Roganti

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