Blu Room Hotel – Roberto Monti

Trama

Con l’emendamento del sindaco Brune, a Tap Town, viene proibito l’utilizzo di carta e inchiostro, autorizzando come unico mezzo di distribuzione di qualsiasi tipo di testo scritto, quello digitale. Gore, il capo della polizia, organizza continui rastrellamenti per le vie, nelle case e nei locali con l’unico scopo di sequestrare tutti i libri cartacei presenti in città e, grazie ad attenti posti di blocco posizionati lungo tutto il confine cittadino, riesce a inibirne in pochissimo tempo l’importazione dagli altri centri abitati. L’editoria si trova quindi a dover completamente rivoluzionare il modo di concepire e di distribuire i propri libri. L’era digitale è iniziata. Nonostante questo divieto però, a Tap Town appaiono alcuni scrittori clandestini di cartacei. Il più famoso e il più astuto nel non farsi catturare dagli uomini di Gore è Billy Ray.Intanto in città gli scrittori clandestini di cartacei vengono ritrovati senza vita poche ore dopo essere stati visti uscire dal Blu Room Hotel.

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Oggi parliamo con… Mirko Zilahy

Intervista a cura di Dario Brunetti

 

Abbiamo il piacere d’incontrare per giallo e cucina Mirko Zilahy in libreria con il suo romanzo ‘’Così crudele è la fine” e il suo protagonista Enrico Mancini.

Benvenuto!!! Tanto per iniziare parlaci, per chi ancora non lo conoscesse, di questo personaggio, da dove è venuta l’ispirazione e inoltre quali sono  suoi pregi e i suoi difetti?

Enrico Mancini è il frutto di un disegno su un’agendina e un’idea che mi portavo dietro da anni. Avevo insegnato all’università di Dublino, fatto l’editor e il traduttore, scritto centinaia di recensioni ma confrontarmi con la forma del romanzo non era nei miei progetti. E invece… quando ho iniziato a mettere insieme i pezzi della mia Roma e del commissario mi sono reso conto che poteva venire fuori qualcosa di nuovo. Un thriller sui generis ma, secondo me, necessario.

Enrico Mancini è un profiler nato a Roma ma istruito a Quantico (Mindhunterdocet). Nella mia trilogia si trova a che fare, prima ancora che con i serial killer, con la scomparsa della moglie e con le nevrosi scatenate dal mancato ultimo saluto sul letto di morte. Il commissario è infatti in America quando Marisa tira l’ultimo sospiro, e da allora lui indossa di continuo un paio di guanti di pelle per non avere più contatto con gli altri, con il mondo. È il suo modo di dire “no”. Ma, in È così che si uccide la caccia a uno spietato seriale, che si fa chiamare l’Ombra, lo tira dentro l’indagine.

 

Inoltre come mai hai scelto un personaggio che nasconde bene la sua fragilità interiore e i suoi lati deboli? Possiamo affermare che Enrico Mancini può essere simile a tanti di noi, magari che nascondono dentro se stessi le loro sofferenze e i loro stati emotivi e affrontano la giornata come se indossassero una maschera?

Non parlerei di maschere. Ognuno di noi ha un proprio sistema di difesa dal dolore che viene da dentro (memoria, solitudine, lutti) o dall’esterno, dal mondo, dalla cosiddetta realtà. Mancini indossa i suoi guanti di pelle, che piano piano, di romanzo in romanzo, si trasformano in altre nevrosi. Ma i guanti sono un simbolo fisico che ricorda a lui e al lettore che c’è stata un’interruzione, una cesura che va rimarcata. I guanti sono il segno tangibile della fine di una vita e dell’inizio di un’altra. Li sceglie per mettere un ostacolo, un muro tra sé e il mondo, tra il sé di prima e quello di adesso. Tutti abbiamo oggetti a cui siamo legati, e a volte li usiamo per difenderci, nasconderci o semplicemente per urlare silenziosamente i nostri dolori al mondo.

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