a cura di Luigi Guicciardi
EDGAR ALLAN POE
Di là da facili boutades – secondo cui il Giallo nascerebbe addirittura dalla Bibbia, con Caino assassino, Abele vittima e Dio detective – pare oggi indiscutibile assegnare il titolo di padre del Giallo all’americano di Boston Edgar Allan Poe (1809-1849), di cui sono più che noti, e non solo agli studiosi di letteratura, il temperamento fragile e inquieto e l’esistenza breve e tormentata. Figlio di due attori girovaghi e presto orfano, adottato ma in difficili rapporti con il padre, brillante studente universitario e poi ottimo giornalista, ma accanito bevitore, giocatore e debitore, giovane marito di una cugina tredicenne e altrettanto precocemente vedovo, Poe sottopone all’osservatore odierno quarant’anni di vita sotto il segno della sventura, suggellati infine da quel delirium tremens che lo portò, com’è noto, alla tomba.
Nella sua vasta produzione narrativa spiccano i Racconti, che recuperano il clima cupo dei Tales of terror dei maestri Ann Radcliffe e Horace Walpole ma con uno stile nuovo e una nuova sensibilità pre-decadente. E all’interno di questi racconti, almeno tre risultano quelli che hanno assicurato a Poe la paternità del romanzo poliziesco: I delitti della Rue Morgue, del 1843, Il mistero di Marie Roget e La lettera rubata. Racconti così famosi, in effetti, da esimerci dall’obbligo di dare una sintesi della loro trama: soprattutto il primo, capace di conquistarsi un’immediata rinomanza internazionale estesa fino alla Francia dell’ammirato Baudelaire (benché un critico d’oggi lo abbia ridimensionato al semplice ruolo di “revolverata in aria a dar via alla corsa” del Giallo). Ma se si può discutere della qualità artistica di questi Delitti, se si possono preferire la costruzione teatrale o la speculazione dialettica della Lettera rubata, resta indubbia la paternità di Poe nei riguardi della detective story, anche se si tratta pur sempre di una paternità involontaria, interna com’è a una produzione narrativa estremamente varia e ispirata da suggestioni molto diverse. Lo stesso Auguste Dupin per esempio – l’investigatore dilettante e intellettuale di questi racconti – se da un lato sembra anticipare gli ideali positivistici di fine secolo, dall’altro però non ha in sé la forza razionale dell’ottimismo umano, esprimendo piuttosto la “sopravvivenza dall’umano sfacelo” che sarà propria di molto decadentismo.
È stato segnalato più volte dalla critica che in questi tre racconti Poe ha virtualmente anticipato ogni possibile motivo tematico del Giallo: l’introduzione di una nuova figura di “eroe” letterario, il detective (Dupin, appunto); il procedimento razionale e deduttivo usato per risolvere il mistero; il delitto commesso in un ambiente chiuso e apparentemente impenetrabile; la centralità, nella trama, della descrizione della detection; il confronto-scontro tra il detective dilettante e la polizia ufficiale, e infine la presenza di un personaggio-narratore estraneo agli eventi, con la cui ottica il lettore segue la vicenda.
Se è vero che con questi archetipi Poe ha influenzato generazioni di scrittori di genere, è altrettanto vero che anche lui può aver attinto qualcosa altrove. Un’influenza plausibile, s’è detto, può esser stata quella dei Memoirs di Eugéne Vidocq, senza escludere inoltre che abbia potuto conoscere il fondamentale Caleb Williams di William Godwin, a sua volta prefigurazione talora decisiva di spunti e schemi propri del romanzo poliziesco. E sempre a proposito di Dupin – modello definitivo (e in parte autobiografico) del detective dilettante – giova ricordare quanto ha scritto Julian Symons, il noto saggista di Bloody Murder (1972): “Poe creò Dupin a propria immagine, o meglio secondo l’immagine di quello che lui desiderava essere. Dupin era povero, ma al pari di un eroe romantico (e a differenza di Poe) non dava molta importanza a questo fatto. Credeva, come lo stesso Poe, nella suprema importanza dell’intelligenza, però aveva un’inclinazione e una sensibilità selvaggiamente romantica, che lo portavano a chiudere all’alba le persiane del suo appartamento e a uscire per le strade solo quando l’orologio lo avvisava del sopraggiungere dell’oscurità.”
Tra le curiosità bibliografiche potenzialmente interessanti, ricordiamo che la prima traduzione italiana di Poe di cui si abbia notizia è quella di B.E. Maineri, Storie incredibili di Edgar Poe, Milano 1869, seguita da Racconti incredibili, anonimi, Milano 1876, e da due raccolte – una anonima e l’altra a cura di R. Arbib nei numeri 43 e 143 della Biblioteca Universale Sonzogno, rispettivamente nel 1883 e nel 1885.
Per quanto riguarda il cinema, il personaggio di Dupin è stato portato alcune volte sullo schermo, ma con risultati per lo più mediocri. I delitti della via Morgue resta il racconto che ha avuto il maggior numero di versioni cinematografiche, la migliore delle quali ci risulta essere quella del 1954 diretta da Roy Del Ruth e con Steve Forrest nel ruolo del celebre detective (ma si può ricordare anche Mystery of Mary Roget, diretto nel 1942 da Phil Rosen). Lo stesso Poe è apparso come personaggio o protagonista in numerosi film, a partire da quell’Edgar Allan Poe diretto nel 1909 dal mitico David Wark Griffith, fino ad arrivare a Twixt di Francis Ford Coppola del 2011 e a The Raven di James McTeigue dell’anno dopo, dove lo scrittore era interpretato rispettivamente da Ben Chaplin e John Cusack