Stasera al cinema… I, Tonya di Craig Gillespie

a cura di Stefania Ghelfi Tani

La storia vera della pattinatrice sul ghiaccio Tonya Harding – o presunta vera – dato che si basa su interviste piuttosto contraddittorie.

Protagonista, prima dello sport, è l’ambiente in cui Tonya cresce. Sin da piccola e fino all’età adulta subisce una madre incombente, onnipresente, perfida, che le impartisce continue violenze fisiche e psicologiche, un padre che la abbandona e un marito anch’egli violento in un rapporto patologico.

Una madre, interpretata dalla vincitrice dell’Oscar Allison Janney, con la sigaretta sempre in mano – sembra di sentirne l’odore che impregna ogni cosa – la frangetta e i lineamenti taglienti che la rendono ancora più dispotica e avara di sentimenti, pronta solo a picchiare, umiliare, esigere e rinfacciare ogni istante i sacrifici economici fatti per permettere alla figlia di pattinare.

Tonya appena può sfugge alla genitrice per ritrovarsi però con un marito che si comporta in modo analogo e conosce solo la legge delle botte.

Solo il volare sul ghiaccio la nutre, pur avendo contro anche la giuria che non guarda solo alla tecnica ma all’immagine che nella società americana è essenziale, a costo di lasciare il talento in secondo piano.

L’unico obiettivo è la vittoria, l’unica ragione di vita di figlia e madre per arrivare in parte alla gratificazione personale per Tonya, ma soprattutto ai soldi e all’evasione da un mondo fatto di abusi e violenza.

Nessuno la culla, la accarezza e la protegge, vive nella miseria umana e fisica in mezzo a mobili di formica, moquette macchiata, troppo fumo e alcool. Vive di percosse, di allenamenti estenuanti, di rifiuti che minano il suo animo fino al triste epilogo della sua carriera.

Tonya diventa una ragazza aggressiva pur conservando un lato dolce e romantico. Una vita costellata da qualche grande successo ma da tanta infelicità, cocenti delusioni e tradimenti emotivi, cicatrici inferte nel corpo e nell’anima.

Una donna sola – sempre e comunque – che lotta contro la famiglia, contro le avversarie, contro i giurati e contro se stessa per tentare di emergere, per avere il plauso e l’apprezzamento almeno del pubblico. Tonya non riesce a sfuggire alle sue origine quasi che il suo destino fosse scritto nel DNA e, come dirà lei stessa,, sa solo pattinare e se la si priva di questo la si priva della vita.

Margot Robbie rende la sua Tonya nel migliore dei modi: è credibile, drammatica, indifesa, violenta, incompresa, determinata. Un anello debole che pur essendo criticabile è una vittima della società, non ha armi per difendersi, non ha seconde chances.

Il regista ci mostra un dramma umano senza arrivare mai alla verità. Quale sarà? Di chi ci si può davvero fidare? Ognuno ha la sua versione dei fatti, ognuno accusa l’altro, gli eventi sono plasmati dai media per fare audience. C’è del ridicolo in come si prendono sul serio certi personaggi che tali non sono; l’ignoranza e la stupidità umana che agiscono senza un vantaggio e causano solo danni.

Si mettono in scena gli anni ’80 – abiti, trucco, parrucco – la misera provincia americana, il potere dei media, la sete statunitense di eroi e di colpevoli, la volontà di essere se stessi contro la richiesta di un’omologazione, la crescita identificata dal carattere formato dal proprio vissuto, la contrapposizione tra l’importanza dell’estetica, dell’apparenza e l’essere.

La fotografia non dell’America stereotipata di Hollywood, di Manhattan, di Boston, ma quella degli ultimi, di coloro che cercano – spesso invano – di farcela, dei non eletti.

Il ritratto non di un focolare domestico bensì di legami aridi, atti solo a sfruttare l’altro a proprio beneficio, senza mai compassione, tenerezza, affetto, amore, empatia.