Intervista a cura di Stefania Ghelfi Tani
Buongiorno Marco e grazie per averci concesso un po’ del tuo tempo! Raccontaci di te. I lettori sono curiosi di sapere chi sei e quando è nato il tuo amore per la scrittura, di conoscere l’uomo dietro lo scrittore.
È un grandissimo piacere per me essere vostro ospite, grazie per dare spazio al mio romanzo.
Dunque vorrei iniziare a dire che prima dello scrittore c’è l’essere un lettore.
Cito una frase di J. L. Borges: “Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; a me inorgogliscono quelle che ho letto”.
Leggere è in realtà comprendere noi stessi. Siamo tutti lettori e lettrici prima di …, così come tutti siamo portatori di storie. Il bisogno di storie è profondo, umano e individuale e rende possibile, attraverso la parola, ogni cultura. Da questo inizio il pensiero narrativo che prescinde il suo farsi testo. Qualcuno sosteneva che scrivere è una domanda d’amore velata di reticenza, sono d’accordo; quando leggo un libro cerco sempre un legame con l’autore, con i personaggi, con la storia e credo sempre che ciò somigli, a tutti gli effetti, all’amore. Due solitudini estreme: leggere e scrivere, da cui far emergere il sommerso. Siamo dentro alla vita qui! ora! e questo è un altro fatto che rappresenta una grande avventura. Scrivere in fondo non è che un sogno che porta consiglio.
Ad un certo punto della mia vita ho sentito l’esigenza impellente di trasformare in energia creativa una serie di pensieri e fantasie che riempivano la mia testa e tradurre i silenzi che mi abitavano, la necessità di allontanarmi dal disincanto della modernità, così ho scelto la narrazione. Un’intima urgenza. Poi rimettersi agli altri è un incanto delicato, stupefacente ma delicato.
La parola orale muore, la parola scritta resta… e sigilla.
Dove scrivi? Hai un posto preferito dove trovi ispirazione?
Scrivo senza schemi e senza luoghi fissi. Ho sempre desiderato essere prima di tutto un poeta; “Il trapezista” è una storia densa di poesie tradotte in prosa. Se del mio scrivere devo fissare un momento preciso direi la mattina presto, dopo la notte il mio inconscio lavora meglio, in particolare nell’intreccio del testo, e per il luogo direi senz’altro la scrivania del mio ufficio/studio, immerso tra i miei oggetti, la mia musica e il rumore della città come sottofondo.
“La perizia” è una raccolta di racconti dove protagonista è il territorio ferrarese. Vuoi dirci di più?
Sì il mio territorio, ma non quello bassaniano dentro le mura bensì esterno ad esse: il Po, la grande pianura verso il Mezzano, le terre tagliate e ferite dalla Gran Linea, che è una strada che arriva fino al mare. Un mare di cui senti la presenza sempre ma che non vedi mai fino a quando non ci sei dentro, dove l’orizzonte si confonde e si colora di suggestioni Un territorio scandito da una quotidianità che unisce spesso il latente fallimento delle persone con la grazia.
Dieci racconti quelli de “La perizia” il cui valore non sta nell’essere speciali, ma nell’essere niente di speciale. Il protagonista è un perito di una banca che deve redigere stime e che, improvvisamente, abbandona il tecnicismo che caratterizza il suo lavoro, rivolgendo lo sguardo lungo il crinale dell’ordinata sequenza di gesti che segnano le vite delle persone, cercando di restituire alle cose minime e diverse la loro verità, raccontando in quali luoghi misteriosi, ma molto vicini ad ognuno di noi, sia ubicato il valore non “di un bene” immobile ma “del bene”, dell’altro significato della parola ovvero dell’amore.