Intervista a cura di Adriana Rezzonico
Abbiamo oggi il piacere di incontrare Enzo Gradassi.
Benvenuto e grazie per la tua cortesia.
Grazie a te per questa opportunità
Ci racconti quando hai iniziato a scrivere? Quali messaggi ti piacerebbe trasmettere ai lettori?
Si può dire che scrivo da sempre. Prima ho fatto un’esperienza di cronaca giornalistica: a 19 anni ho lavorato con l’Unità dove ho trovato un vero maestro, che mi ha insegnato a scrivere. Si chiamava Sergio Pardera ed era un capocronaca, una specie di sergente di ferro che imponeva regole rigidissime. In seguito ho lavorato nel pubblico, per lo più nella difficile arte del “ghost writer”: brevi discorsi, interventi di presentazione di libri e mostre, comunicati stampa “virgolettati”. Poi ho lavorato, assieme ad altri, a produzioni pubblicate: sulle origini del fascismo ad Arezzo, sull’esperienza di superamento del manicomio di Arezzo e, in proprio, su temi che mi erano cari e legati alla documentazione del folclore locale come lo storico Carnevale di Bibbiena, quello di Foiano della Chiana, due antiche feste di Lucignano e una raccolta biografica di composizioni, in gran parte inedite, di Giovanni Fantoni, un leggendario poeta popolare di fine Ottocento, del quale Caterina Bueno aveva inciso un contrasto in ottava rima. In seguito mi sono sempre mosso fra la storia locale ed il folclore: a me interessano le persone e le loro storie collocate nel loro spazio geografico e nel loro tempo e dunque muovo sempre dalla ricostruzione della biografia dei miei personaggi (a volte noti, altre volte sconosciuti) per raccontarne le vicende attraverso la documentazione archivistica. Racconto solo storie vere, insomma. Così ho fatto, per limitarmi ai lavori più importanti, con Arnaldo Pieraccini, celebrato psichiatra illuminato, che costruì ad Arezzo un modernissimo manicomio ai primi del Novecento, quello stesso istituto che la nuova psichiatria di Franco Basaglia e Agostino Pirella indicarono come luogo di orrori e segregazione e meritevole di essere abbattuto; allo stesso modo ho ricostruito la vicenda di uno straordinario personaggio, Mario Magri, dai suoi primi passi sulle strade di Arezzo all’avventura di Fiume come stretto collaboratore di D’Annunzio, ai suoi diciassette anni di confino durante il fascismo, alla sua militanza nella resistenza romana, fino alla drammatica sorte fra i 335 delle Fosse Ardeatine. Poi ancora due storie di povertà e follia con transito nel manicomio di Montelupo Fiorentino, recentemente chiuso: Vento, al secolo Angelo Menci, e Ci giurammo eterno amore, la storia di un femminicidio dei primi del Novecento, di sconvolgente attualità.
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